Ti do 9 strategie pratiche da considerare per crescere i tuoi bambini un po’ più lontani dagli stereotipi di genere
Pensa alla tua infanzia.
Quali sono le etichette che ti si sono appiccicate addosso e che magari ancora oggi ti porti dietro?
Le mie, così su due piedi, sono:
brava
intelligente
stonata
maschiaccio
acida
Ne ho dimenticata una.
La più importante.
femmina
Questa mi è stata appiccicata ancor prima di nascere.
“Ma non è un’etichetta”, mi dirai.
È un dato di fatto.
Sì e no.
Te ne parlo meglio dopo l’indice, seguimi!
Cosa trovi in questo articolo:
Cosa si intende con etichette quando riferite ad una persona?
Siamo molto bravi ad etichettare.
È un meccanismo di risparmio energetico del nostro cervello.
Serve a non dover ricominciare da capo a valutare la situazione ogni volta che si incontra qualcuno.
Sono etichette tutte quelle parole, solitamente aggettivi, che riferiamo ad una persona.
Possono essere dei pregiudizi, arrivare da luoghi comuni o da esperienze passate.
“Mio figlio è diligente”
“Mia figlia è brava ad arrampicare”
“Sono una persona permalosa”
A proposito di etichette mi viene in mente un aneddoto successo a mio marito.
Un pomeriggio io ero al lavoro e mio marito era in giro con il nostro bimbo, che dormiva nel passeggino. Mio marito si era sdraiato lì di fianco, sembrava dormisse. Quello che sembrava un nonno con un nipote passa di lì e dice “guarda, un disoccupato”. |
Quella persona, sulla base di stereotipi e magari anche la sua esperienza aveva fatto un’ipotesi su mio marito completamente sbagliata.
Magari non aveva mai visto un papà con suo figlio durante il giorno e in settimana.
Magari non conosceva papà impiegati a tempo parziale.
Ha ipotizzato che solo una persona disoccupata ha il tempo per sdraiarsi per terra.
Il suo cervello ha fatto tutti questi ragionamenti in una frazione di secondo, per valutare in maniera veloce quello che stava vedendo.
Ha fatto 1 + 1 e … ha sbagliato in pieno.
Perché sarebbe meglio non etichettare?
Etichettando riduci le possibilità di una persona di essere se stessa e di cambiare.
È come se imponessi il carattere, i talenti e i difetti di una persona.
A volte anche l’aspetto.
Mettiamo caso che hai le caratteristiche di una persona pigra e io ti etichetto come tale.
Vedo principalmente due possibilità.
Oggettivamente:
1. Non sei una persona pigra
In questo caso, esprimo un giudizio falso sul tuo conto e il mio rapporto con te sarà falsato da questo mio pensiero.
Magari il tuo sembrare una persona pigra è dovuto ad altri motivi.
Etichettandoti come persona pigra è come se il mio cervello tutto soddisfatto smettesse di lavorare.
Non fa altre ipotesi, non cerca di capire perché tu in questo momento mi sembri una persona pigra.
Questo succede anche solo se lo pensassi.
Se te lo dicessi invece contribuirei a farti credere che sei una persona pigra.
Potresti cominciare a comportarti per soddisfare questa aspettativa.
Inizieresti a non metterti più in questione e la pigrizia diventerebbe uno scudo da usare in molte occasioni.
Cominceresti a credere che quella, oramai, è la tua natura.
Ho parlato di questo meccanismo anche nell’articolo sul sul multitasking.
2. Sei una persona pigra…
…in questo momento della tua vita.
Niente, non ce la faccio proprio a scriverlo in maniera assoluta, nemmeno come ipotesi.
Comunque mettiamo caso, per intenderci, che da molto tempo a questa parte sei una persona che adora
stare sdraiata nel letto a pensare
guardare la TV
prendere l’ascensore anche per fare un piano di scale
Lo fai per scelta, non perché hai una particolare disabilità che ti impedisce di essere una persona più attiva.
Prima di tutto: una persona non è mai un’etichetta, nemmeno cinque etichette.
“dire sei una persona davvero pigra!”
è comunque falso.
Perché anche se la pigrizia è una tua caratteristica, magari sei anche una persona molto rilassata perché non corri tutto il giorno tra mille impegni.
Questo ti rende una persona molto affabile e comprensiva che si arrabbia di rado.
Quindi dirti “sei una persona pigra” non ti renderebbe giustizia in ogni caso.
E poi, chi mi dice che un giorno non cambierai?
In questo caso il problema principale è quello di ridurre la possibilità che tu possa cambiare.
Perché magari da molto tempo sei una persona oggettivamente pigra.
Per questo motivo potrei non invitarti mai per una passeggiata.
Quando sarò in tua compagnia chiamerò l’ascensore quasi in automatico.
E ti sarà ancora più difficile uscire da questa etichetta.
Tutto questo discorso vale anche per le etichette positive, come “intelligente”.
Mette un peso addosso, una responsabilità che magari non vorresti sempre avere.
Potresti soffrire di più e scoraggiarti appena fai un errore.
Potresti diventare una persona perfezionista, che non esce volentieri dalla sua zona di comfort per paura di sbagliare.
4 risorse per approfondire il tema delle etichette nell’infanzia
Se il tema delle etichette ti interessa ti consiglio di cominciare da queste risorse:
Il racconto di Valeria da Pozzo intitolato “Siria e la luna”
L’episodio del podcast Educare con Calma “Etichette: smettiamo di mettere le persone in scatola!”
La risposta di Carlotta Cerri alla domanda di una mamma con una bimba molto timida
L’episodio del podcast di mammasuperhero “Smettiamo di etichettare i bambini”
In che senso “maschio” e “femmina” sono delle etichette?
Quando si parla degli svantaggi di etichettare i propri figli, spesso si fanno esempi come:
timido
pigra
diligente
che sono etichette che hanno a che fare con il comportamento.
A volte si citano anche le etichette che hanno a che fare con l’aspetto:
bello
magra
nero [1]
In questi contesti di solito non si parla di “maschio” e “femmina” come di due etichette.
Invece le etichette “maschio” e “femmina” sono potenti e insidiose.
Perché insidiose?
Perché sono invisibili.
Perché ci nasciamo.
Ci sembrano ovvie e naturali e non pensiamo a quanto influenzano la nostra vita.
Ma non sono etichette!
È un dato di fatto.
Se mia figlia nasce con la vulva, è una femmina, almeno dal punto di vista biologico.
Giusto.
Però oggi la società ha aspettative e trattamenti diversi per uomini e donne.
Quindi essere bollati come “maschi” o “femmine” ha delle implicazioni.
Cosa implica essere etichettati come maschio o femmina?
A chi nasce viene assegnato un sesso biologico.
Sulla base di questo iniziano tutta una serie di automatismi:
assegnamo un nome maschile/femminile
ci riferiamo loro con pronomi diversi e correggiamo chi sbaglia
associamo colori maschili/femminili per tutto: cartolina di benvenuto all’ospedale, vestiti, ciucci, biberon, peluches, triciclo, bicicletta, zaino, …
li vestiamo in maniera diversa, non solo per i colori
facciamo crescere i capelli o meno
regaliamo loro cose diverse
usiamo aggettivi diversi per descrivere i bambini e le bambine
ci aspettiamo comportamenti diversi
ci aspettiamo interessi diversi
diamo la paghetta prima e più alta ai bambini [2]
…
Ognuna di queste pratiche rafforzano la linea di demarcazione tra il genere maschile e quello femminile.
Ora.
Concentriamoci un attimo sugli aggettivi, che sono proprio quelle parole che usiamo quando etichettiamo.
Pensa all’aggettivo “muscoloso” che viene spesso rivolto ai bambini.
Nota quanto suona strana l’espressione “sei muscolosa” riferita ad una bimba.
È segno che ci troviamo di fronte ad un'espressione fortemente stereotipata per cui dovremmo evitarla.
O cominciare ad associarla in egual misura anche alle bimbe.
Etichette come:
muscoloso
femminuccia
forte
coraggioso
terremoto
bravo nel lavoro pratico
amante delle macchine da costruzione
dipendono dalla macro-etichetta “maschio”.
Analogamente, dalla macro-etichetta “femmina” dipenderanno etichette come:
gentile
dolce
diligente
brava
frivola
isterica [3]
maschiaccio
9 modi per smussare le etichette di genere nell’infanzia
Voglio darti qualche idea per evitare di rafforzare questa linea di demarcazione tra il mondo maschile e quello femminile.
I primi 5 sono consigli inediti e gli altri 4 sono ripresi dall’articolo 20 consigli pratici per educare alla parità di genere.
Prendili come spunti di riflessione, non come prescrizioni.
Devi fare ciò che ti senti e che è in linea con i suoi valori, solo così potrai fare dei cambiamenti nel lungo termine.
Hai notato il titoletto qui sopra?
Ho scritto “smussare” non “evitare”.
Non ho le fette di tofu sugli occhi e mi rendo conto che non è possibile rimuovere completamente le etichette di genere.
Nella nostra cultura e con la nostra lingua è ancora più difficile staccarsi da questo binarismo di genere.
Ma sicuramente c’è qualcosa che puoi fare già da oggi.
1. Dai un nome “neutro” al tuo bimbo o alla tua bimba
Un nome che non renda chiaro da subito se il bimbo che ti trovi di fronte è maschio o femmina.
Questo se potessi tornare indietro lo farei con il mio bambino.
Non costa molto e almeno le persone che incontrerete si approcceranno al bimbo o alla bimba in maniera meno stereotipata.
O magari si approccerà anche in maniera stereotipata ma una volta come se fosse femmina e l’altra come se fosse maschio.
Così il bimbo o la bimba sperimenterà le due facce della medaglia.
A meno che ti chiedano esplicitamente il sesso, in quel caso passa al prossimo consiglio!
2. Non rivelare il sesso assegnato alla nascita del bambino o della bambina a meno che sia strettamente necessario.
Questo è più facile se non è una persona che te lo chiede direttamente.
Magari un formulario per il quale si può trovare una soluzione creativa tipo scrivere a chi ne è responsabile che nella vostra famiglia preferite non dare troppo peso al sesso assegnato alla nascita.
Generalmente non vogliamo essere persone scontrose con chi incontriamo al parco e ci chiede “È maschio o femmina?”.
In passato ho sempre risposto.
Ora se qualcuno lo facesse penso che proverei a rispondere con “Si chiama Fiore”.
Così se dal nome è chiaro il sesso, siamo tutti a posto.
In maniera pacata avrai messo l’accento sulla persona e non sul sesso.
Se dal nome non si capisce e la persona insiste, si potrebbe dire:
“È una persona”
“Sono curiosa. Perché lo vuoi sapere?”
“È nato con il pene/la vulva”
“È un maschio, ma non diamo peso al sesso assegnato nella nostra famiglia”
Confesso: non so se avrei fegato di rispondere così io stessa.
L’altro giorno c’erano due bambini di 5 anni al parco giochi che volevano sapere se il mio bimbo fosse un maschio o una femmina. Mio figlio credo non avesse capito la domanda perché non rispondeva e di solito la parola non gli manca. A questi due bimbi che insistevano ho risposto “Si chiama <Nome del mio bimbo>”. Loro volevano però avere la conferma che fosse un maschio. Stavo per rispondere “È nato con il pene” ma mi sono fermata alla “p” perché avevo paura di usare la parola “pene” davanti a dei bambini che forse non avevano mai sentito questa parola. Comunque a posteriori ho pensato che avrei potuto rispondere “È una persona”. |
3. Non dire al tuo bimbo che è un maschio o alla tua bimba che è una femmina
Aspetta!
Non è omertà! Semplicemente non gli ricordo quest'etichetta. Se me lo chiede gli rispondo: "Sei una persona nata con un pene" e se vuole saperne di più aggiungo "visto che hai un pene, il tuo sesso biologico è "maschio". Quello che conta però è quello che pensi tu."
4. Se qualcuno scambia il tuo bimbo per una bimba e viceversa potresti:
Non correggere Questo punto è sicuramente discutibile. Io ho smesso di correggere quando il mio bimbo viene preso per una bimba. Al momento preferisco dare il segnale a mio figlio che con lui si può usare qualsiasi tipo di pronome, che comunque spesso è in linea con il sesso assegnatogli alla nascita. Io stessa uso "lui". Quando sarà il momento e la sua identità di genere sarà formata sarà lui a correggere qualcuno che lo misgenderi [4], se la cosa gli importa. Così facendo le persone si approcciano a lui a volte come se fosse una femmina, a volte come se fosse un maschio.
Correggere usando formulazioni tipo “Lei è Giulia” invece di “È una femmina”, soprattutto se sei davanti ad altri bambini. In questo modo rendi chiaro alla persona che pronomi usare ma metti l’accento sulla persona, evidenziando il nome anziché il sesso assegnato alla nascita.
5. Se il tuo bimbo o la tua bimba misgendera un altro bambino
Non vuoi correre il rischio di offendere qualcuno. Suggerisci di chiedere il nome del bimbo che sta misgenderando.
6. Evita il più possibile le parole:
maschio
femmina
bambino
bambina
femminuccia
maschiaccio
uomo
donna
signore
signora
Eviterai automaticamente frasi tipo:
✖ Il calcio è uno sport da maschi
✖ Le bambine non〈attività o comportamento X〉
✖ I maschi non〈attività o comportamento X〉
✖ Sei un maschiaccio / femminuccia
7. Usa la parola “persona” anziché “uomo”, “donna” , “signore” o “signora”
✖ Guarda, un uomo che sta guidando una ruspa
✔ Guarda, una persona che sta guidando una ruspa
8. Giochi di ruolo: lasciali fare
se tuo figlio vuole allattare una bambola
se tua figlia dice che quel duplo con il rossetto e i capelli lunghi è un signore
se tuo figlio vuole impersonare una bambina. D’altronde se lo lasci essere un gatto non puoi impedirgli di essere una persona di un genere diverso dal suo, giusto?
9. Libri e cartoni animati: non è facile ma sforzati di trovarne di non stereotipati e che parlino di temi come identità e espressione di genere
Cerca tra quelli che recensisco nelle mie risorse per l’infanzia.
È una lista in lento ma costante aggiornamento.
E iscriviti alla mia newsletter per aggiornarti sui libri per l’infanzia stampabili che ho in cantiere:
Riflessioni finali
Non sto dicendo di fare finta che bambine e bambini siano uguali.
Non sto nascondendo la biologia a mio figlio.
Sa che ci sono persone con il pene e altre con la vulva.
Ma al di là delle nostre fattezze biologiche, siamo tutte persone una diversa dall’altra e dovremmo imparare a convivere con queste differenze.
Per il mio bimbo desidero un mondo in cui abbia il 100% delle possibilità tra cui scegliere.
E tu?
Ah, e se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto.
Te ne sono grata.
Ciao e alla prossima,
[1] Cito dal libro “Scrivi e lascia vivere. Manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile”: L’espressione di colore è un calco dall’anglo-americano coloured che inizia a diffondersi in Italia negli anni ‘70 ma si radica negli anni ‘90, quando abbiamo iniziato a considerarla più come un eufemismo di nero. Nel 2022 questo non è più valido, e la stessa comunità delle persone afrodiscendenti italiane rivendica l’uso dell’aggettivo nero.
[2] Ci sono diversi studi, a me è sembrato ben fatto per esempio questo di Credite Suisse del 2017 dove sono state interrogate 7200 famiglie con bambini tra i 5 e i 14 anni.
[3] Badiamo alle parole che utilizziamo. L’isteria è una malattia mentale, una forma di nevrosi che si manifesta con varie reazioni psicomotorie, sensoriali e vegetative, oggi meglio definita come disturbo da conversione. Ritenuta in passato esclusivamente femminile, in realtà è ugualmente diffusa nei due sessi. Fonte: dizionario Zanichelli.
[4] Viene dall’inglese. Lo uso perché mi permette di dire con una sola parola quello che dovrei dire con molte più parole in italiano “riferirsi ad una persona con dei pronomi non in linea con la sua identità di genere”. In realtà questo è possibile solo con bimbi più grandi, che hanno già sviluppato la loro identità di genere. Un bebè tecnicamente non è misgenderabile, si può giusto confonderne il sesso biologico.
Grazie per la tua riflessione piena di spunti interessanti che dimostrano come dovremmo provare ad etichettare meno. Il tuo "non hai i fianchi" mi ha ricordato il mio "sei un asse da gnocchi", per dire che non avevo seno. Sì, non è facile scrollarsi di dosso le etichette che abbiamo avuto ma esserne consapevole è già il primo passo. Perché infatti è anche molto difficile liberarcene, crediamo che siano parte di noi, della nostra natura e finiamo per credere che non puoi farci niente. Ti ci vorrà una vita a smontarle, dici. Beh, almeno avrai passato il resto della tua vita a estrarre la tua vera te seppellita dagli strati di etichette accumulati. Un giorno alla volta, un’etichetta alla volta…
Ciao Zaira e ben ritrovata.
Grazie di questo post, che mi ha fatto riflettere su quanto le etichette possano influenzare/determinare il tuo modo di porti nella vita, cioè sostanzialmente di fronte alle sfide di tutti i giorni. Sia in modo positivo ma anche in senso negativo.
A me hanno detto abbastanza regolarmente, quando ero alle elementari ma anche oltre, "eeee, sei imbranata...", "hai la testa piatta", "non hai fianchi", "con la matematica non ci siamo proprio", "sei strana", "l'aritmetica è il tuo debole", a intervalli regolari, in ordine sparso. (Sinceramente, di veri complimenti non ne ricordo; era sempre uno spronare a fare meglio, a stare nei ranghi, a non dare fastidio; o forse sono io che a un dato momento…