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  • Un esempio di carico mentale domestico familiare

    Perché fare un album fotografico di famiglia? E chi ci pensa? Fare gli album fotografici di famiglia. O pensare a farli, il carico mentale è molto forte in questo ambito visto che molte persone si sentono indietro sul fronte "album delle foto". Forse anche tu ci pensi, ma non trovi il tempo per farli. C'è chi non ha ancora l'album del giorno del matrimonio. Chi non ha ancora l'album di nascita della figlia che il mese prossimo compie dieci anni. Chi del secondo figlio non ha nemmeno una foto stampata. E quando qualcuno dice di aver trovato una strategia per portarsi avanti con gli album delle foto, tante persone vogliono sapere qual è il trucco. Prima di arrivare alla pratica, lasciatemi però dire che questo degli album di famiglia è un perfetto esempio di carico mentale familiare. È un tema che pesa, ma è quasi invisibile. Ci rendiamo conto del carico quando qualcuno ce lo fa notare. Cosa trovi in questo articolo: Nell'era digitale facciamo davvero tante foto Il carico mentale degli album fotografici Quale genitore pensa agli album fotografici? Come mi sto rimettendo in pari con gli album fotografici Sapere perché voglio spendere tempo a fare gli album fotografici di famiglia Portare avanti il progetto fotografico in maniera costante e sostenibile Riflessioni finali Nell'era digitale facciamo davvero tante foto In internet si trovano diversi numeri su quante foto al giorno scattiamo. Puoi anche verificare nel tuo telefono. Ad esempio, per il 2022 io e mio marito assieme abbiamo 6000 foto il che corrisponde a 8 foto al giorno, che infatti è nell'ordine di grandezza che avrei stimato. Di sicuro al giorno d'oggi una foto costa molto meno in termini di fatica, tempo, soldi. Chiunque oggi abbia uno smartphone può scattare facilmente una foto. Una volta avresti dovuto portare un aggeggio ingombrante apposito; oppure magari era anche piuttosto maneggevole, ma avresti dovuto pensare a comprare la pellicola e poi mandarla a sviluppare. Se mia mamma ha un album delle foto da quando è nata a quando ha cominciato le elementari, mio figlio ha un album per il suo scambio casa di tre settimane ad Amsterdam. Impressionante. Il carico mentale degli album fotografici Nell'articolo sul carico mentale scrivevo che è come un macigno che pesa il doppio a causa della sua invisibilità. Trovo il pensiero dell'album fotografico di famiglia un perfetto esempio di carico mentale familiare. Credo che raramente prendiamo davvero coscienza di questo compito, che però sentiamo pesare in maniere sottili. Ad esempio attraverso quell'anisetta che si percepisce nel vedere il numero delle foto scattate sul telefono aumentare inesorabilmente. O quando non possiamo più scattare una foto perché non abbiamo più spazio sul telefono. O quando vediamo l'altra famiglia con i suoi 217 album perfetti in ordine cronologico e cromatico. Spesso non siamo nemmeno coscienti di quell'ansia o senso di colpa che si crea attorno a questo tema. Non ne parliamo in coppia. Sembra un argomento futile rispetto alle altre mille incombenze del quotidiano. Invece, le persone che fanno gli album fotografici di famiglia alla domanda "per chi o per cosa fai l'album" rispondono quasi all'unisono "per i figli". Quindi sembra una cosa futile ma a ben guardare non lo è: riteniamo importante fare gli album delle foto per la prole. È un altro dei tanti compiti di cura con la differenza di essere importante ma non urgente. Vedi la differenza? Un compito può essere importante perché ci teniamo, ma non è urgente perché nessuno ci obbliga, non abbiamo un limite di tempo per farlo. Un po' come il prendersi del tempo libero per sé 😅 Questo tipi di compiti rischiano di venir procrastinati all'infinito, sopratutto quando la quotidianità è già piena di impegni. Quale genitore pensa agli album fotografici? Chi se non il genitore di default? L'esperta della cura dei figli: la mamma. Perché in fondo fare un album fotografico fa parte dei compiti di cura, di cui in automatico si prendono carico le donne. Com'é che una mamma è il genitore di default? Scrive Annalisa Monfreda in "Ho scritto questo libro invece di divorziare": "Non c'è nessun istinto e nessun sapere innato che sgorghi dalla donna assieme alla vita del figlio. All'inizio si è entrambi principianti. Poi la madre, stando con il figlio ventiquattro ore al giorno, impara a prendersene cura e diventa esperta. Per di più, stando tutto il giorno a casa, stabilisce la nuova organizzazione e si fa carico delle faccende domestiche, mentre il padre si sente un apprendista con poco tempo a disposizione, un eterno principiante, che si inchina all'esperienza della compagna, faticando a trovare il proprio posto." Quello dell'album delle foto è spesso visto come un gesto di cura nei confronti della prole, ma è un po' diverso dagli altri compiti. Spesso nemmeno le mamme hanno tempo di lavorarci, lasciando loro solo il senso di colpa per non starci lavorando. Ho fatto un piccolo sondaggio via Instagram dove si è visto che le mamme hanno in carico questo compito 10 volte in più dei papà. Qualcuno ha provato a darmi delle spiegazioni che andassero al di là del genere per spiegare la ripartizione all'interno della coppia: "Ci penso io perché sono designer, non perché sono una donna." "Ci penso io perché a mio marito non interessano le foto." "Ci pensa lei, perché la sua famiglia le ha tramandato la tradizione degli albi delle foto, io ne ho avuti molti meno." Allora, queste spiegazioni possono anche essere vere per i casi singoli, ma non spiegano la statistica così schiacciante. Perché? Perché se fosse vero che il genere non c'entra con la ripartizione di questo compito, il risultato statistico lo rifletterebbe: statisticamente risulterebbe che nelle varie coppie eterosessuali uomo e donna si fanno carico di questo compito più o meno al 50%. Perché anche lui può essere un grafico, perché anche lei potrebbe disinteressarsi delle foto, perché anche lui potrebbe essere cresciuto con molti albi fotografici mentre lei no. La spiegazione generale, anche se è difficile ammetterlo, ha a che fare con il ruolo di genere: le mamme, molto più dei papà, pensano a fare gli album fotografici di famiglia. Perché è un atto di cura. Come mi sto rimettendo in pari con gli album fotografici Ho fatto sapere che ho trovato per me un modo che funziona per mettermi in pari con gli album delle foto. Molte persone mi han chiesto di svelare il mio trucco. Quello che ho fatto è stato applicare consapevolmente dei principi di gestione del tempo e produttività. Nessun trucco magico. Sapere perché voglio spendere tempo a fare gli album fotografici di famiglia Fare gli album delle foto per farli, non basta. O almeno, basta nei pochi casi in cui fare gli album sia una vera e propria passione. Quando ancora non dovevo lottare per il mio tempo libero, prima di diventare mamma, facevo con piacere gli album delle foto, magari in un giorno di pioggia. Allora mi bastava fare un album delle foto tanto per farlo, sì per avere un ricordo, ma non era strettamente necessario. Lo facevo perché avevo il tempo. Ora che il tempo libero me lo devo segnare su un app per non rischiare di annullarmi, beh sento di avere di meglio da fare. Lavoro da salariata gran parte della settimana e il weekend sto volentieri con il mio bimbo: stare a casa una giornata a fare album delle foto mi pareva ridicolo. Mi perdevo dei momenti presenti per documentare il passato... un controsenso. Ma in questo caso sentivo il peso: volevo fare gli album delle foto. Avevo tanti buoni motivi per volerli fare: Come ricordo per mio figlio in generale Per spiegare alcune cose, come la procreazione medicalmente assistita con cui è stato concepito di cui negli albi troviamo qualche traccia. Per sfogliarli assieme come degli albi illustrati dove i protagonisti siamo noi Per ridurre il tempo allo schermo, preferisco le foto stampate in un libro. Per non dipendere al 100% dai server gestiti da persone che non conosco, nel caso dovesse succedere qualcosa e le mie foto digitali sparissero o stoccarle diventasse economicamente insostenibile (non so quanto sia razionale questo scenario). Se spiegazioni come queste non sono sufficienti, prova con la tecnica dei tre perché. Poniti tre volte di seguito la domanda perché, così: Sapere perché vuoi fare un album fotografico è essenziale. Quando il tempo libero è poco devi sapere perché usi il tuo tempo in un dato modo. Potrebbe risultare che la tua ansia e senso di colpa sia totalmente dettata dall'esterno ovvero dalla pressione che "un buon genitore fa l'album". In quel caso, ti direi che fare gli album per te non ha una motivazione sufficientemente forte e puoi eliminarlo dalla tua testa. Stiamo parlando di un lavoro non retribuito che prende tempo, sopratutto oggi che scattiamo molte foto grazie ai rullini fotografici digitali pressoché infiniti. Portare avanti il progetto fotografico in maniera costante e sostenibile Ma allora perché non riuscivo a portare avanti questo progetto? Mi pesava immensamente perdemi del tempo assieme a mio figlio per organizzare gli attimi passati assieme. Ho dovuto trovare alcune regole e principi che funzionassero per me. Te li lascio come eventuali spunti di riflessione, consapevole del fatto che i miei ragionamenti sono estremamente soggettivi. Quello che funziona per me non deve funzionare per te ma può aiutarti a trovare la tua formula. 1. Definisci un momento ideale per lavorare agli album delle foto Nel mio caso doveva essere quando il figlio dormiva o non c'era. Perché altrimenti arrivavo in quel paradosso che mi frenava: perdere del tempo presente col figlio per fissare i momenti passati. Ma: quando mio figlio non c'è di solito ho il mio lavoro salariato. Altrimenti, se mio figlio non c'è mi dedico al lavoro casalingo, che reputo più urgente degli album fotografici. Qualche volta quando mio figlio non è con me riesco a prendermi del tempo libero senza sensi di colpa; anche questo è prioritario rispetto agli album fotografici. Quando dorme la sera ho anche cose più urgenti da fare come la doccia, riordinare, piegare i panni. Inoltre la sera sono molto stanca e non mi va di mettermi davanti allo schermo dopo giornate lavorative passate allo schermo. E quindi? Per me l'unica soluzione è il mattino prima che mio figlio si alzi dal letto. 2. Decidi con quale ritmo ti dedicherai a questo compito Per me non era sostenibile dedicarmi agli album delle foto di famiglia ogni giorno. Una volta al mese invece è quasi troppo poco per vedere un progresso reale e motivarmi. Una volta a settimana mi pare un buon ritmo. 3. Fissa il giorno in cui ti dedicherai a questo compito Così riesci a creare meglio l'abitudine. Quel giorno fai l'album e a meno di gravi eccezioni non si scappa. Potrebbe essere un giorno preciso della settimana, o l'ultimo lunedì del mese, se decidi che per te la cadenza mensile è l'unica sostenibile. Io ho scelto la domenica mattina e dunque il sabato sera vado a dormire in modo da potermi svegliare almeno 45-90 min prima dell'orario in cui si alza mio figlio. Ovviamente può essere che tu già ti alzi prima di tuo figlio e che proprio non riesci a liberare del tempo. In quel caso prova a vedere se è possibile rivedere le tue priorità, magari lasciando andare il perfezionismo; ne parlavo in questo articolo sul carico mentale. 4. Imposta un promemoria Se vuoi ridurre davvero al minimo il tuo carico mentale, imposta un promemoria per ricordarti questo appuntamento con l'album delle foto. Così non dovrai occupartene nemmeno mentalmente fino a poco prima del momento che hai fissato. 5. Fai l'album delle foto... Posto il fatto che sai con quale mezzo stampare le foto o direttamente l'album fotografico. Sono sicura che ci sono molte opzioni diverse, questo è un lavoro che dovrai fare prima. Ma una volta che sei davanti alle foto o all'album da stampare preparato interamente in digitale: procedi. Sai che hai 45-90 minuti. Se hai scelto la frequenza settimanale, il tuo obbiettivo minimo sarà quello di sistemare le foto di 2 settimane. Quello è il tuo obbiettivo minimo, raggiungibile, realistico. E che poco a poco ti farà recuperare il ritardo che senti! 6. ...mettendo da parte il perfezionismo Vedrai che se metti da parte il perfezionismo sarà possibile anche procedere di 2-3-4 settimane ogni settimana: il che significa che ti stai rimettendo in pari. Io quando ho realizzato questa cosa mi sono motivata un sacco! "Ehi! Ma se ogni settimana procedo di almeno 2 settimane, vuol dire che mi rimetterò in pari!" Non nego che ad un certo punto credevo fosse impossibile starci dietro... Invece avendo l'obbiettivo minimo di 2 settimane mi sono resa conto che avrei potuto recuperare. Cosa ho lasciato andare: Gli album sono fatti ma non sono perfetti: il layout della pagina è un po' a caso, non controllo se le foto non hanno tutte le stesse dimensioni perché ne sistemo le dimensioni "a occhio". Quando si sfoglia l'album quasi non si nota perché davvero noi guardiamo le foto (e non siamo grafici). Il fatto che ho l'obbiettivo minimo mi impone di scegliere in fretta tra le 10-foto-quasi-uguali-del-visino-così-carino-del-nostro-bimbo, ne scelgo veloce una, massimo due, e passo alla prossima. Avere un obbiettivo chiaro da raggiungere in un limite di tempo mi aiuta a decidere in fretta. Non mi preoccupo se perdo una qualche foto qua e là, si potranno sempre recuperare più in là e comunque quelle che sto provvedendo a far stampare in un libro sono meglio di niente. Non mi preoccupo se ho buchi temporali tra un album e l'altro. Ad esempio, da quando mi sono messa con mio marito nel 2014 facevo degli album in ordine cronologico senza "saltare nel futuro". Una volta che il ritardo era troppo grande ero demotivata a fare l'album della nostra vita senza bimbo e allora sono "saltata nel futuro" facendo un album del nostro scambio casa a Amsterdam, poi sono di nuovo saltata nel passato per fare l'album della gravidanza e primi mesi di vita del bimbo. Anche perché mi andava di affrontare il tema della gravidanza attraverso un album fotografico. Per il prossimo salterò allo scambio casa di Parigi come mi ha chiesto di fare il bimbo. Seguo quello che ho voglia di fare o che mi chiede il bimbo così almeno sono più motivata e non mi preoccupo se qualcosa manca. Riflessioni finali Abbiamo visto che quello dell'album delle foto è un compito che spesso pesa più di quello che immaginiamo. È un compito che sentiamo di voler fare per la prole, dunque si può vedere come un compito di cura. Per questo motivo ancora oggi è la mamma a sentirne di più la responsabilità, quasi di default e senza discuterne con il partner. Sono i ruoli di genere a decidere per noi. La peculiarità di questo compito è quella di non essere urgente ma sentiamo comunque essere importante. Dobbiamo quindi trovare un modo per poterlo portare avanti in maniera sostenibile. Sono contenta perché io dopo la sessione settimanale di album delle foto non vedo l'ora della prossima sessione! Sono motivata dal vedere un progresso costante e capire che a questo ritmo sto al pari e anzi sto recuperando poco a poco! Dopo aver fatto un bagno nei bei momenti passati assieme, mi sento anche più amorevole e bendisposta nei confronti della mia famiglia e motivata a continuare a ricercare belle esperienze per vivere la vita come piace a noi. Spunto di riflessione bonus: scatta meno foto! Se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto, mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto o ricondividendolo. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima,

  • 24 idee per educare al consenso nel quotidiano

    Per crescere persone emotivamente intelligenti e liberare il mondo dalla violenza di genere. Siamo in tema consenso. Ora immagina tuo figlio o tua figlia a 16-20-30 anni. Come vorresti che fosse? È probabile che quello che desideriamo per una figlia sia diverso da quello che desideriamo per un figlio. Per il figlio magari desideri una persona che: rispetti le persone non le tocchi senza esplicito consenso non agisca violenza di genere Per la figlia invece potresti desiderare che: venga rispettata sappia fare valere la sua voce se non le va di fare qualcosa nessuno agisca della violenza su di lei I desideri possono essere diversi perché ad oggi uomini e donne sono anche il risultato di due diversi tipi di educazione. Una differenza che porta ad un'asimmetria anche in ambito di violenza di genere. I comportamenti prevaricanti sono solitamente agiti da uomini nei confronti delle donne. Figli e figlie vanno sì educati con lo stesso obbiettivo come renderli individui liberi di essere sé stessi nel rispetto delle altre persone. Ma può darsi che l'educazione di figli e figlie in questa società dovrà essere diversa per controbilanciare quello che la società tutta tende ancora a fare. Con un figlio maschio starò più attenta ad educare alle emozioni, all'empatia e al rispetto. Mentre con una figlia magari dovrò lavorare di più sul prendere spazio, dire di no, imporsi. Non significa che avrò una figlia senza emozioni e un figlio che non sarà capace di imporsi. Ma sapendo che la tendenza della società è quella di rendere più semplice ad un uomo di imporsi ed ad una donna di essere sensibile, io darò peso diverso a diverse aree anche in base al genere. Chiaramente dipende anche dalla personalità ma questa sarà più o meno la tendenza generale. Cosa trovi in questo articolo: 24 mondi per educare al consenso Il corpo e la privacy I sentimenti La proprietà di oggetti e spazi Altre cose che aiutano ad educare al consenso Riflessioni finali 24 modi per educare al consenso Ho individuato tre aree su cui lavoro per educare mio figlio al consenso. Tra l'altro, io stessa devo educarmi al consenso perché a volte magari mi capita di dargli un bacio non richiesto, di prendergli delle cose di mano senza chiedere o di buttare via qualcosa di suo senza chiedergli. Le tre aree che ho individuato sono: Il corpo e la privacy I sentimenti La proprietà di oggetti e spazi Il bello di questa lista, secondo me, è che contiene tanti gesti semplici. Questo mostra che educare al consenso può essere meno complesso di quello che credi, anche se serve una grande consapevolezza. Vediamo! Il corpo e la privacy 1. Chiedo il permesso per togliergli il pannolino o svestirlo Mi rendo conto che c'è un età, attorno ai 2 anni, dove la persona ti dirà quasi sicuramente "no"😅 Io a volte ho lasciato mio figlio con il pannolino pieno fino a che la pipì arrivava ai pantaloni. Alla fine era lui a chiedermi di cambiarlo. Altre volte funzionava metterlo sul "Quando sei pronto a cambiare il pannolino, io ci sono". O passargli delle responsabilità, come chiedergli di andare a prendere lui stesso il pannolino. Ora che è più grande chiedo e quasi sempre la risposta è sì. Anzi, succede più spesso che va a prendersi il pannolino da solo e arriva da me con quello per farselo cambiare, non ci penso quasi più (e infatti lo sta lasciando pian piano). Idem per i vestiti: mi capita di lasciargli una maglietta, che io avrei tolto, se non vuole toglierla. Chiaramente questo funziona solo per un paio di volte, ad un certo la maglietta va tolta, ma sento di potergli lasciare un po' di margine per decidere del suo corpo. 2. Chiedo se vuole un bacio o un abbraccio prima di darglielo Qui ci sto ancora lavorando. Spesso mi capita di dargli un bacio senza permesso, quando mi rendo conto gli dico: "Scusa, ti ho dato un bacio senza chiederti se lo volevi". So che può sembrare esagerato. Ma è importante insegnare che per dare un bacio o un abbraccio serve il consenso. Sia per la sua sicurezza, del tipo "Il tuo corpo è tuo e non lo si tocca senza il tuo permesso" che per quella degli altri "Non puoi toccare il corpo altrui senza il consenso". 3. Riformulo la richiesta quando qualcuno pretende un bacio o abbraccio Ovviamente capita che delle persone gli dicano "Dammi un bacio". Io in quelle situazioni semplicemente riformulo: "Vuoi dare un bacio a...?" a volte aggiungo un motivo "per ringraziare" o "per mostrare affetto". Se la risposta è "No" allora spesso, se mi va, dico: "Allora glielo do io!". 4. Gli dico che il mio corpo è mio e decido io chi, come e cosa può toccare Capita che a volte mi tocchi dove non mi va di essere toccata, almeno in un dato momento. Ad esempio, se siamo sul divano a leggere spesso mi infila la mano nella maglietta. Lo può fare solo se mi chiede e solo se mi va. A volte insite e la mia risposta è "No" oppure gli dico quale è il mio limite "Sì, però stai fermo" oppure "Puoi toccarmi solo il collo". 5. Se capita che mi tocca dove non voglio senza il mio consenso glielo ricordo Ammettiamo che cucinando mi tocchi il sedere. Gli dico con fermezza che può toccarmi il sedere solo con il mio consenso. Quasi sempre dopo lui mi chiede: "Posso?" e io rispondo "No". A volte insiste, e gli dico che "No è no". Ovviamente non intendo lo sfioramento casuale ma quando viene lì a toccarmi il sedere proprio per testare il limite sapendo che mi dà fastidio. 6. Gli insegno che "no è no" Spesso con mio figlio ho notato che funzionano molto bene "gli slogan". Una frase breve ad effetto. Ad esempio "non si commentano i corpi", ora lentamente trasformato in un "prima di commentare un corpo si chiede il permesso". Nel campo del consenso una frase che funziona molto bene è "No è no". Se io ti dico che non puoi toccarmi il corpo, tu non lo fai. 7. Dovrò lavorare anche sul "Solo sì è sì" Trovo che la frase "No è no" per persone piccole d'età è più facile da comprendere e da pronunciare. In realtà un concetto ancora più importante da passare è quello del "Solo sì è sì". Che differenza fa? In ambito della prevenzione della violenza di genere c'è una bella differenza. Ti riesci a immaginare quale? Con il "No è no" si presuppone che qualcuno possa fare qualcosa ad una persona anche se questa non dice nulla. Del tipo: "Io ho continuato a baciarla perché non dicendo nulla pensavo fosse d'accordo". In realtà ci sono molti motivi per cui una persona in una certa situazione non riesce dire "No": paura soggezione timidezza insicurezza ... In realtà dovremmo sforzarci di insegnare che solo con un consenso esplicito si possono fare determinate cose. Il consenso implicito non è consenso perché soggetto a malintesi. Figuriamoci poi crescere con quell'idea del "Dice no ma in realtà lo vuole". Pericolosissimo. In generale, evita le dinamiche dove dici qualcosa che non è in linea con il tuo pensiero. Ad esempio rispondendo "No" a chi chiede se sei arrabbiatə [1] quando lo sei. 8. Gli chiedo il permesso di pubblicare sue foto Questo punto è cruciale in questa epoca di social. Sembra una banalità ma non lo è affatto. Pubblicare foto e video dei nostri figli è diventata un'abitudine, lo fanno tutti. E le abitudini spesso spengono lo spirito critico, una delle qualità fondamentali per educare alla parità. Io non pubblico foto senza il consenso della persona riconoscibile in viso. Anche se la persona non è riconoscibile spesso chiedo il consenso. Per minimizzare il rischio di forme di bullismo o violenza agite dalla nostra prole, dobbiamo fungere da modello. Non possiamo pretendere che nostro figlio a 14 anni non pubblicherà la foto di un suo coetaneo in una posa ridicola se noi per una vita abbiamo postato video senza chiedergli il consenso di lui che fa la pipì nel vasino o che piange disperato. Quindi sempre più spesso ho cominciato a chiedere a mio figlio: "Tesoro, vorrei pubblicare questa tua foto su Instagram, la vedranno circa 1000 persone, ma c'è la possibilità che la vedano molte più persone. Ti va bene?". Ovviamente dovremo guidare le persone più piccole in questo processo. Mio figlio quattrenne mi ha detto ad esempio che non vuole che si veda il suo sedere e la sua pelle, però dice che va bene se pubblico il suo nome e il suo indirizzo 😅 Al momento quello che faccio è fargli scegliere tra 5-6 foto quella che si sentirebbe di pubblicare. E se non ce n'è nessuna aspetto o trovo alternative. 9. Gli insegno che le parti intime andrebbero toccate quando si è in intimità Combinando il fatto che i bimbi e le bimbe sono in continua esplorazione e scoperta del loro corpo con la novità del stare senza pannolino, spesso i bimbi si toccano e mostrano le parti intime senza alcun tipo di pudore. Qui bisogna evitare di creare un tabù e/o far provare vergogna ma con pazienza indicare loro che il momento migliore per scoprire il loro corpo è nell'intimità. Perché forse le altre persone sono meno affascinate del bimbo in questione nel vedere di che colore è il suo glande. Magari si può partire con l'insegnare a chiedere se la persona ha voglia di vedere questa cosa. E per cercare di soddisfare la loro curiosità riguardo al loro corpo e parti intime, possiamo guidarli nel processo. Spieghiamo bene come funziona il nostro corpo, senza omettere nulla. Rispondiamo con onestà alle loro domande. Diamo loro uno specchio per guardare anche le parti un po' più nascoste. 10. Chiedere il permesso di commentare il corpo altrui (se proprio non se ne può fare a meno) In generale, sto cercando di insegnare a mio figlio che spesso non è necessario commentare i corpi altrui. Non è facile: perché molte persone commentano il suo o altri corpi farlo in una maniera che non crei tabù. Ad ogni modo al momento ho trovato un compromesso: se il bisogno di commentare il corpo di una persona è impellente, allora andrebbe chiesto prima il consenso. Un aneddoto recente: 11. Gli chiedo di rispettare la mia privacy quando sono in bagno Questa è dura da far passare, almeno qui. Devo dire che al momento è così anche perché sì, glielo dico, ma spesso non mi dà fastidio se lui gironzola in bagno mentre faccio i miei bisogni. È però importante definire i propri limiti laddove comincia il disagio. Ad esempio, sono riuscita a fargli capire che se faccio la cacca pretendo che la porta del bagno sia chiusa. Senza se e senza ma. I sentimenti 12. Chiedo prima di condividere aneddoti e fatiche di mio figlio Quando incontriamo una persona che gli chiede come mai non va ancora all'asilo, gli chiedo se gli va di raccontare il motivo. Generalmente, non condivido i suoi pensieri più intimi senza il suo consenso. Ad esempio in questo periodo ha tante paure. Abbiamo cominciato a scriverle su un foglietto per prenderne coscienza, per tirarle fuori. Saremo arrivati ad una cinquantina di paure e mi ha dato il permesso di condividerne 12 😅 Ho però deciso di non condividerle perché alla fine non l'ho trovato indispensabile e ho trovato un'alternativa: 13. Gli insegno l'empatia Dicevo in questo articolo che secondo me una delle tre qualità per educare alla parità è l'empatia e davo 3 esempi su come lavoriamo noi per praticarla. Perché in effetti l'empatia è una questione di pratica e non una qualità innata tipica del genere femminile. Traduco liberamente dal libro "Thrivers" di Michelle Borba. Un libro che presenta 7 caratteristiche da coltivare e promuovere per permettere alla prole di prosperare: "[...] "Davvero si può insegnare l'empatia? La maggior parte dei genitori e educatori credono che l'empatia dei bambini sia rinchiusa in un qualche codice genetico inaccessibile e sono sorpresi di sapere che questo segno di umanità può venir coltivato. Genitori ed educatori assumono anche che le loro figlie saranno più empatiche dei loro figli; assumono che se i loro figli non piangono guardando La tela di Carlotta significa che non provano empatia e dopo una certa età (dicamo l'adolescenza), è troppo tardi per coltivare empatia. Ma la scienza smentisce queste credenze dei genitori." Questo capitolo del libro di Borba è stato riassunto da Carlotta Cerri in questo suo episodio del podcast. L'empatia è utile in molti campi ma nel contesto del consenso serve ad esempio a leggere i sentimenti di una persona. Grazie a questa capacità si eviterebbero malintesi tipo "Credevo che le piacesse". 14. Spesso gli dico di fare qualcosa solo quando "Si sente pronto" Cerco di non forzarlo a fare le cose, se riesco a impostare la giornata in maniera da potermelo permettere. Altre volte è più una questione di rispettare le sue emozioni. Tipo una sua timidezza in una data situazione o la sua paura a fare qualcosa. Quindi in molti contesti uso la frase "Quando sei pronto". La cosa più bella è vedere lui usare questa frase con gli altri. Ad esempio capita che proponga un gioco che la persona con lui non ha voglia di fare. In alcune occasioni ho sentito mio figlio dire cose come "Quando sei pronto a giocare a prendersi, io sono qui". Mi immagino una situazione simile nella sua adolescenza detta ad una sua o un suo eventuale partner... Lo trovo davvero potente. 15. Rispetto le sue emozioni e gli dico di rispettare le sue e quelle degli altri Se ha paura di qualcosa lo rispetto e a volte gli ricordo di rispettare la sua paura. In che senso? Nel senso di insegnargli a ascoltarsi e se qualcosa gli fa paura, di affrontarla pian piano. Sapendo che poi le persone di genere maschile vengono educate al rischio, io preferisco controbilanciare. Forse con una bimba il mio approccio sarebbe leggermente diverso, sapendo che il mondo tenderà invece a tenerla al suo posto. Se mio figlio si arrabbia e non mi vuole vedere, lo rispetto. La proprietà di oggetti e spazi 16. Gli chiedo prima di prestare le sue cose Prima di prestare le sue cose, gli chiedo. Di recente è successo con i suoi libri. Inizialmente mi ha detto di no e ho rispettato il suo sentire. Gli ho richiesto in un altro momento e ha accettato. A volte gli serve solo un po' di tempo per abituarsi all'idea. 17. Lo informo prima di regalare le sue cose Ti racconto un aneddoto: È capitato anche a me che mio figlio non volesse separarsi da delle cose, anche se non gli andavano più bene o non ci giocava più. Con pazienza e trasparenza ha però capito che le cose funzionano così e ora si è abituato all'idea che ciò che non usiamo più viene dato via. 18. Vorrei informarlo prima di eliminare le sue cose È vero che in passato mi è capitato di eliminare cose senza chiederglielo e a volte lo faccio ancora ad esempio con le tante cose che raccoglie in giro in natura o giochini di poco valore a volte persino mezzi rotti. Se si accorge chiedo scusa. Ora cerco di non farlo ma so che lui accumulerebbe molto più di quello che io mi sento di fare. Sto così tenendo da parte diverse cose e sto decidendo cosa fare: le elimino se non me le chiede per un anno o dovrei essere trasparente? Lui ora dice che vuole fare come Rosie Revere l'ingegnera, che tiene tutto per fare le sue invenzioni 😅 Forse lo asseconderò con una scatola in cui mettere queste cose... 19. Non lo obbligo a condividere le sue cose È difficile, perché come società riteniamo antipatico un bambino che non condivida subito le sue cose. Se ci pensi però persino noi persone adulte non siamo sempre così generose e pronte alla condivisione. Se qualcuno desidera un gioco di mio figlio, io lo aiuto a mediare dicendo cose come "Ora lo sta usando, ma puoi prendere quest'altra cosa se vuoi" oppure "Ora lo sta usando lui, ma quando ha finito te lo presta volentieri, vero?". Questo non significa che non educo all'empatia e alla generosità, ma lo faccio cercando di essere io empatica e generosa. Modello per lui i comportamenti che vorrei avesse, convinta che servano di più di tante parole. 20. Rispetto una persona che non voglia prestargli una cosa Allo stesso modo, insegno a mio figlio di rispettare una persona che non gli vuole prestare qualcosa. Gli dico "Ora lo sta usando" o "Ora non gli va ma magari più tardi se la sente". Questo è molto importante perché insegna a rispettare la proprietà e gli spazi di una persona. Se la persona dice no, è no. O ancora meglio, solo se dice sì, allora possiamo prender le sue cose. Altre cose che aiutano ad educare al consenso 21. Scusarsi se si fa qualcosa senza consenso A volte mi capita di dargli un bacio senza chiedergli. Lui in verità non si accorge ma spesso se capita gli dico "Oh scusa, non ti ho chiesto se volevi un bacio!". Una mattina è stato lui a dirmi che gli avevo spostato i ciucci senza il suo consenso e che non potevo farlo. Anziché ridergli in faccia, gli ho detto in tono molto serio che aveva ragione e che non lo avrei più fatto. 22. Conoscere e rispettare i cartelli di divieto A mio figlio piace molto leggere i cartelli di divieto. Di conseguenza, poi ci impegnamo a rispettarli o notiamo le persone che non li rispettano dicendoci che o hanno "rotto una regola" o non hanno visto il cartello. Anche questo è un esercizio interessante per bambini e bambine utile a prendere coscienza dei limiti e rispettarli. 23. Coltivare la pazienza Attendere che una persona sia pronta, che ti dia il permesso di fare qualcosa, implica avere una certa dose di pazienza. Per questo trovo che coltivare la pazienza possa essere utile anche in questo senso. Esistono diversi articoli e podcast che ne parlano. Io coltivo la pazienza di mio figlio (e la mia😅) in diversi modi, ti lascio qualche esempio: La modello cercando di non mettergli fretta quando stiamo camminando da un posto all'altro se non c'è un motivo reale. Lo lascio guardare 2 minuti la formica, osservare i sassolini nell'asfalto o raccogliere delle foglie. Se in un negozio desidera un gioco, 90% delle volte dico no e gli dico che se vuole possiamo fare una foto. Se tra tanto tempo desidererà ancora quella cosa, allora potremo comprarla. Spesso se ne dimentica. A volte invece mi chiede una cosa per dei mesi e poi allora gliela compro, ma è raro. Ci spostiamo a piedi, in bici, con i mezzi pubblici. Ci vuole più tempo ma impariamo a "stare". Se vuole qualcosa per cui la coda è lunghissima e il tempo c'è, allora mi metto in coda con lui. Io ovviamente non lo farei mai di mia iniziativa ma così sia io che lui impariamo a pazientare (lui per qualcosa che desidera davvero, tipo un gelato o una giostra). 24. Spesso lo coinvolgiamo nelle decisioni famigliari Ad esempio riguardo al programma della giornata. Vogliamo fargli sapere che la sua voce conta e che la ascoltiamo. Se non vuole fare una cosa lo prendiamo in seria considerazione. Capita di rado di doverlo forzare a fare qualcosa. È un esercizio che lo aiuta a capire che ci sono diversi pareri anche contrastanti che vanno ascoltati e che a volte bisogna fare dei compromessi. Anche questo in ottica di consenso quando sarà più grande è molto importante. Immagina una persona che gli dica "Non me la sento di fare X, però se vuoi potremmo fare Y". Che potenza. Riflessioni finali Molte situazioni del quotidiano sono davvero utili per educare al consenso. Ma è un processo e bisogna praticare un passo alla volta. Io stessa magari ho scritto "Gli chiedo prima di condividere suoi aneddoti o fatiche" ma non lo faccio sempre. O perché non ci penso, o perché reputo che in certe situazioni (dove magari lui non è presente) è meglio condividerle anche senza un consenso. Penso ad esempio se dobbiamo riferire di alcune "sfide" ad una persona che si prende cura di lui. Se lui è presente cerco però di ricordarmi che magari lui non ha voglia di condividere le sue cose e gli chiedo il permesso. Quello che mi aiuta a capire cosa è opportuno o meno è pensare se una cosa simile o uguale venisse fatta a me, mi andrebbe bene? Sono sicura che una persona educata al consenso e al rispetto delle altre persone aiuterà questo mondo a liberarsi da certi comportamenti ingiusti e violenti. Lavoriamo alla base per far sì che i nostri figli e figlie sappiano riconoscere la violenza di genere e agire di conseguenza. Per un mondo migliore, un passo alla volta. Ciao e alla prossima, [1] La schwa, “ə”, è una lettera che si pronuncia tra una “a” e una “e” e che si può usare per evitare il maschile sovraesteso e per uscire dal binarismo di genere. Seppure venga usata già anche in alcuni libri, la uso con parsimonia dove davvero ci sta o non riesco a parafrasare. Essendo ancora sconosciuta a molte persone mi sembra di mettere un ostacolo in più tra chi legge e il contenuto del mio articolo. ⇧

  • Come ripartire il carico mentale nella coppia

    Qualche riflessione e 8 idee per una coppia più bilanciata e serena. Immagina le tensioni che alcuni genitori vivono: "Devo sempre dirti tutto", "Ma io ho lavorato tutta la settimana!", "Non sei capace a organizzarti, i bimbi sono a scuola dovresti riuscire a fare le pulizie", "Dove sono le mie calze?", "Non potresti uscire un po' prima dal lavoro? Non ce la faccio più", "È grazie al mio lavoro che possiamo permetterci questo stile di vita". Spesso le discussioni nascono per ingiustizie percepite e situazioni sbilanciate dal punto di vista della ripartizione del carico mentale. Un genitore è sopraffatto al punto da pensare di non riuscire a fare tutto, di non essere capace ad organizzarsi. L'altro invece si sente forse così sul lavoro, ma quando finisce si sente legittimato a prendersi del tempo per sé perché ha lavorato tutto il giorno e si merita un po' di svago. Immaginati ora una coppia di genitori in cui nessuno debba più dire continuamente all'altro tutto quello che c'è da fare in casa. Due genitori che co-gestiscono la famiglia e la casa come una squadra, indipendentemente da chi ha più lavoro retribuito sul piatto. Immaginati una coppia in cui davvero il lavoro casalingo è riconosciuto e valorizzato. Una famiglia in cui ci sono alti e bassi ma dove in generale il benessere e la serenità di entrambi i genitori è garantito. In questo articolo ti do qualche spunto per un cambio di prospettiva e magari anche di organizzazione familiare. Cosa trovi in questo articolo: Ripartizione equa non significa 50-50 Il lavoro domestico è lavoro Gli svantaggi del lavoro domestico Il lavoro domestico è invisibile Il lavoro domestico non è riconosciuto Perché cerco di evitare l'espressione "madre lavoratrice" Perché non dico "mammo" 8 idee per ripartire il carico mentale nella coppia Riflessioni finali Ripartizione equa non significa 50-50 Con ripartizione equa non intendo che dobbiamo essere interscambiabili in tutto o che ogni attività va divisa al 50%. Anche perché in molte famiglie i due genitori hanno percentuali lavorative diverse. Spesso nelle famiglie con figli l'uomo lavora ad una percentuale maggiore della donna, che si occupa di più di casa e figli. Modelli familiari nelle coppie con figli in Italia, dati del 2018. In almeno il 56% delle famiglie con figli l'uomo lavora ad una percentuale maggiore rispetto alla donna. Fonte: questo rapporto Istat. In Svizzera nel 2022, l'uomo lavorava ad una percentuale maggiore della donna in almeno il 60% delle famiglie con figli. Fonte: questa pagina dell'ufficio federale di statistica. E sono davvero rare le famiglie con figli in cui entrambi i genitori lavorano part-time. Faccio un esempio attinente al lavoro per spiegare cosa intendo con co-gestione: Trovo che l'analogia con la gestione famigliare sia incredibile. Si può essere ugualmente coinvolti e responsabili nel progetto anche se ci si lavora a percentuali differenti. Un tipo di gestione molto simile lo abbiamo io e mio marito in casa: ognuno ha le sue aree di competenza, alcune tacite altre discusse, quando c'è un imprevisto si trova una soluzione assieme. Non ci dividiamo tutto al 50% anche perché io ho un lavoro salariato al 70% e lui al 50%. Ci sentiamo entrambi responsabili di casa e prole cosicché dal pediatra ci va chi può e così anche per il cucinare o fare il bucato. Nel caso del bucato ammetto che è quasi sempre mio marito a prendere l'iniziativa... penso perché ha meno vestiti di me e sente prima l'esigenza di lavare. Il lavoro domestico è lavoro Ho avuto un cambio di prospettiva importante quando ho realizzato che il lavoro domestico, il fare la casalinga o il casalingo, è un lavoro. Lo avrei dovuto capire prima ma il fatto che una mamma si occupasse di casa e figli era per me... scontato. Forse ho percepito il doversi giustificare di mia mamma quando era casalinga con chi poneva domande come: "Ma tu non lavori?" "Ma cosa fai tutto il giorno a casa?" Sono cresciuta con l'idea che mio papà ci mantenesse e che sì, mia mamma si occupava della casa e di noi figli, ma vedevo più il valore del lavoro di mio papà che di quello di mia mamma. Un valore che era legato allo stipendio, probabilmente, e al vederlo uscire di casa per ottenerlo. Ma ha a che fare anche col fatto che, come dicevo prima, il lavoro di casalinga è socialmente sminuito. Non ragionavo sul fatto che mio papà poteva essere al lavoro solo perché mia mamma invece era perlopiù a casa con noi. Dico perlopiù perché per diversi anni mia mamma ha comunque avuto un lavoro salariato a tempo parziale. Avevo anche questa impressione che mia mamma dovesse in qualche modo ringraziare mio papà per i suoi acquisti personali. Il lavoro domestico e di cura è dato per scontato, spesso invisibile e gratuito. Immagine tratta dal libro “Bastava chiedere” di Emma. Capire questa cosa è importante. Bisogna capire che dietro ogni uomo in carriera probabilmente c'è (stata) una donna a pensare a tutto il resto. Ne scrivevo anche in questo articolo sulla produttività: un ambito di dominio maschile in cui ho l'impressione che il lavoro delle compagne venga spesso dato per scontato. Gli svantaggi del lavoro domestico Annalisa Monfreda ne "Ho scritto questo libro invece di divorziare" cita Eve Rodsky: Nel mio nuovo ruolo di CEO, task manager e ape operaia al servizio dell'infinita lista di cose da fare della nostra famiglia, mi sono ritrovata ad accumulare ore su ore di lavoro che mio marito non solo non riconosceva, ma di cui nemmeno si accorgeva. Anzi, a volte non me ne accorgevo nemmeno io. Il lavoro domestico è invisibile Spesso si sottovaluta il lavoro fisico e mentale necessario per mandare avanti casa e famiglia. La bambina si ammala? Chiama Pinco per disdire e ripianificare l'appuntamento Chiama la pediatra 2-3 volte prima che risponda Vesti la bimba Prepara la borsa con spuntini e cambio pannolino Trasportala dalla pediatra Aspetta 30 minuti in sala d'attesa Gestisci le emozioni e la sofferenza della bimba Tranquillizzala mentre la pediatra fa i controlli Prendi le ricette mediche Vai in farmacia Trova un modo per farle ingurgitare alla bimba Richiama la pediatra per aggiornamenti Aggiorna anche marito e nonni Valuta chi il giorno dopo debba restare a casa con la bimba nel caso fosse ancora malata ed eventualmente sposta altri appuntamenti … E così per tutte le altre attività come anche avere un pranzo pronto in tavola ad una certa ora. A proposito di pranzo, Annalisa Monfreda nel suo libro racconta degli aneddoti molto eloquenti riguardo alla disparità che viveva in casa ai tempi del lock down. Ne riporto solo un pezzetto: [Mio marito] viene da me [...] e mi chiede: "Posso fare qualcosa?" Come se davvero il pranzo iniziasse e finisse nell'ora in cui si consuma. Come se anche il semplice gesto di riscaldare una lasagna pronta non sia il frutto di una programmazione, di un complesso algoritmo brevettato inconsapevolmente che tiene conto dei gusti e dei bisogni nutritivi di ciascuno, che tiene in memoria quanto già cucinato nei giorni prima, per garantire un minimo di varietà, e che calcola quanti cibi pronti possiamo permetterci in una settimana per non far sballare il budget familiare. ...e che tiene in conto di cosa rischia di andare a male nel frigo, aggiungerei. A me e mio marito succede spesso questa cosa: quando uno dei due torna dal lavoro, quello che è stato a casa comincia a fare la lista di quello che ha fatto per mandare avanti l'economia domestica. È come se la persona che sta a casa deve giustificarsi. Del tipo: ok, la casa è in disordine ma ho fatto questo, quello,... Credo di aver innescato io questa dinamica poco sana perché avevo l'impressione che mio marito quando era con mio figlio faceva meno di me per mandare avanti la casa. Questo mio sospetto potrebbe anche avere un fondo di verità, come vedremo più avanti... Ad ogni modo questo prova che il lavoro domestico è invisibile; perché altrimenti sentiremmo l'esigenza di giustificarci e fare la lista di ciò che è stato fatto? Tra l'altro vedi che anche avere un modello familiare in cui i due genitori lavorano a percentuali simili non ti libera da eventuali disparità (percepite) e discussioni. L'importante è sapere come affrontare le critiche nella coppia😅 Il lavoro domestico non è riconosciuto […] il ruolo di manager familiare è poco riconosciuto e questa mancanza è essa stessa fonte di stress. Continua poi Monneret in "Devo sempre dirti tutto": […] all'origine dello stress vi è lo squilibrio percepito tra le energie spese nel lavoro e ciò che se ne riceve in cambio. Il lavoro non è salariato e spesso nemmeno riconosciuto anche per quello che ci dicevamo prima: è dato per scontato ed invisibile. Se non fai la lista di quello che hai fatto, difficilmente chi è fuori casa si rende conto di quello che è successo nel frattempo. Per assurdo, la persona esce con una casa in ordine e torna con una casa in ordine ma non vede i 10 riordini che sono capitati durante la giornata. Per non parlare di tutto il lavoro che non si vede perché succede nella testa. Non credo di avere le competenze o abbastanza informazioni per poter affermare oggi se sarebbe il caso di dare un salario alle persone che fanno del lavoro domestico. Se ne parla dagli anni settanta con la fondazione del movimento internazionale per il salario al lavoro domestico. Penso che mi starebbe bene continuare a lavorare gratuitamente in quanto casalinga ma almeno la percezione sociale di questo lavoro deve cambiare. Ma ricordo che sto affermando questa cosa dall'alto del mio privilegio di persona che può decidere (più o meno) quanto lavoro domestico gratuito svolgere. Non escludo che dare un salario a chi svolge questo tipo di lavoro sia davvero l'unico modo per dargli un riconoscimento sociale. Ma per certe persone sarebbe anche motivo di bloccare le donne in casa "perché tanto ricevono un salario". Il cambio culturale riguardo ai ruoli di genere legati alla famiglia deve continuare. Un padre può occuparsi dei figli se gli va, una donna può uscire di casa a lavorare se le va. Perché cerco di evitare l'espressione "madre lavoratrice" Un'espressione che è entrata nel parlato è quella di "madre lavoratrice". Anche io l'ho usata in passato, sopratutto se mi dovevo spiegare in poche parole come in un titolo di un articolo. Quello che si intende dire con questa espressione è "una mamma che ha anche un lavoro salariato". Sto però cercando di evitare il più possibile quest'espressione per due ragioni principali: 1) È asimmetrico rispetto al genere, dato che non si dice allo stesso modo "padre lavoratore". Mostra un doppio standard basato sui ruoli di genere tradizionali: che un padre abbia un lavoro salariato è dato per scontato, ma che anche una madre lo abbia non lo è e bisogna specificarlo con l'aggiunta di "lavoratrice". 2) Anche se indirettamente, l'espressione "madre lavoratrice" tende a sminuire una madre che si occupi di casa e prole senza avere un lavoro salariato. Se solo le madri che hanno un salario sono definite "lavoratrici" chi porta tutto il carico mentale e fisico per mandare avanti casa e famiglia cosa fa? Vien mantenuta? Non fa nulla? Immagine tratta dal libro “Bastava chiedere” di Emma. Perché non dico "mammo" Definizione di "mammo" dal dizionario online Treccani: s. m. [masch. di mamma], fam. – Uomo che, nella cura dei figli e nella gestione della casa, svolge le funzioni che sono state tradizionalmente proprie di una mamma; anche con usi scherz. Viviamo in una società che rifiuta di usare certi femminili professionali secondo la grammatica italiana, ma che inventa parole quando un uomo ricopre un ruolo tradizionalmente percepito come femminile. Questi sono modi indiretti per mantenere i generi al loro posto. Non dico "mammo" perché questo neologismo rinforza l'idea per cui la cura dei figli e della gestione della casa sarebbero di responsabilità di una mamma. Questa ripartizione dei ruoli può invece venir messa in discussione, anche se uscire dagli stereotipi non è facile. Gli uomini possono venir sminuiti e penalizzati se si occupano della famiglia e le donne possono sentirsi in colpa quando si allontanano da casa e famiglia per lavoro. Proprio giorno fa Laura mi scriveva per e-mail: Sono una mamma che lavora al 100% nel mondo della comunicazione. Il mio compagno invece si sta dedicando ad un progetto personale così da avere anche il tempo di occuparsi di nostra figlia nella quotidianità. Io sono felice di questo modello familiare, mi capita però di sentirmi in colpa per lavorare "tanto". Come se il contesto sociale bussasse al mio cervello dicendomi "Sei la mamma, devi stare di più con tua figlia!". Questa settimana ho la prima trasferta di due giorni, mi sento già la peggiore del mondo. Prova a leggere lo stesso messaggio come se lo avesse scritto un uomo, ti sembrerà surreale. 8 idee per ripartire il carico mentale nella coppia Riprendiamo le premesse: ripartizione equa non significa 50-50 il lavoro domestico è lavoro Mentre l'obbiettivo è la serenità di entrambi i genitori, laddove i genitori siano due. Se la situazione è pesante ma hai la sensazione che sia recuperabile, si può anche alleggerire il carico mentale partendo da sé lavorando su temi come imparare a dire di no, a settare le priorità o a delegare. In combinazione, potrebbe aiutare conoscere alcune tecniche di produttività. Se nonostante questo, uno di due genitori soffre il carico mentale familiare, per ridargli serenità dovremmo mirare proattivamente ad alleggerirne il carico, permettendogli anche di staccare ogni tanto. Una delle ragioni per le quali il carico mentale domestico è fonte di uno stress particolarmente difficile da gestire è che non ci sono mai pause, al contrario dello stress professionale che, almeno nei weekend e durante le vacanze, si mette in stand-by. È risaputo, tuttavia, che la pressione è sopportabile sul lungo termine solo a condizione che vi siano dei momenti di recupero […]. scrive Marie-Laure Monneret in "Devo sempre dirti tutto". Ti propongo 8 idee, ma sappi che non si tratta di una lista da spuntare per essere la coppia perfettamente equilibrata. Sono solo idee e alcuni punti potrebbero fare più al caso vostro di altri. Come al solito, prendi quello che ti risuona e lascia andare il resto! 1. Mirate ad avere entrambi una quantità di tempo libero adeguata Ne ho scritto in maniera dettagliata in questo articolo sul tempo libero nella coppia. Siamo tutti diversi e in alcuni periodi per qualcuno sarà più necessario o facile prendere del tempo libero. Sul lungo periodo stimo però che tutte le persone necessitino più o meno della stessa quantità di tempo libero. Nell'articolo che ti ho citato poco fa, racconto di come da qualche anno tracciamo il nostro tempo libero. Avere i dati sott'occhio mi aiuta molto. Questo anche a causa del diverso modo in cui vengono cresciuti bambini e bambine: gli uomini sono generalmente più abituati a prendersi dello spazio e lasciare per qualche momento la prole per dedicarsi a sé. Lo stesso non vale sempre per le donne, che molto più spesso si sentono in colpa se si prendono del tempo libero. Oltre al fatto che molti uomini hanno più lavoro salariato delle donne e le donne più lavoro domestico degli uomini. Il lavoro salariato è più visibile e riconosciuto il che rende più facile sentirsi in diritto di prendersi del tempo per sé rispetto a chi si occupa di lavoro domestico. In conclusione, senza tenerne traccia, gli uomini potrebbero sottostimare il tempo che si prendono e le donne sovrastimarlo. 2. Sfruttate entrambi e in maniera equa i benefit aziendali per genitori Se le vostre finanze, lo stato e l'azienda in cui lavorate lo permettono: usate entrambi i congedi parentali o la possibilità temporanea di ridurre la percentuale lavorativa. Ad esempio nell'azienda per cui lavoro i genitori alla nascita di un figlio hanno il diritto di ridurre la loro percentuale lavorativa del 20% fino ad un minimo del 60% per un paio di anni, per poi riaumentarla se lo si desidera alla fine del periodo. Ma anche se questo non fosse un diritto potreste chiederlo comunque. Già solo il fatto di chiederlo è importante. Le aziende in genere mirano ad essere dei datori di lavoro attrattivi per i loro dipendenti. Se vedono che sempre più genitori, papà compresi, chiedono delle agevolazioni creeranno delle misure per renderlo possibile. Leggevo ad esempio in un articolo che grandi aziende in Svizzera hanno congedi pagati di 5 settimane per i padri (+3 settimane non pagate), quando lo standard in Svizzera dal 2021 è un congedo di due settimane. Nulla rispetto ad altri paesi, ma comunque un benefit aziendale per i padri che secondo me andrebbe sfruttato. Il problema è che spesso i padri non sfruttano queste possibilità, non solo per questioni economiche ma per questioni di mentalità all'interno dell'azienda e nella società. Per un padre è il lavoro che deve contare, per un madre la famiglia. Emma nel libro "Bastava chiedere" mostra in un'immagine cosa si intende per ruolo di genere. Queste diverse scale di valori ci vengono inculcate fin dall'infanzia. Noi abbiamo la possibilità di interrompere questa catena educando(ci) alla parità di genere. Finché saranno solo le donne a sfruttare le agevolazioni aziendali per i genitori, le donne manterranno il carico familiare e verranno svantaggiate sul lavoro. Mentre gli uomini continueranno ad essere visti come degli aiutanti in casa anziché dei papà. 3. Date più importanza al tempo dei genitori rispetto al tempo in famiglia A dipendenza di chi sei, questo consiglio ti potrà sembrare o banale o assurdo. Non è per tutte le persone. So che molte persone tengono molto al tempo passato in famiglia tutti assieme. Io per questioni di sopravvivenza i primi 3-4 anni da mamma ho dato precedenza al tempo per me sola (o in coppia) rispetto al tempo tutti assieme. Così facendo il weekend tenevamo il nostro bimbo a turni in modo da avere del tempo o per noi, o comunque per mandare avanti la casa, dedicarci agli album delle foto, il giardino, … E se fatichi con il senso di colpa durante il tempo libero, ne scrivevo in questo articolo. 4. Se sei il genitore che più spesso è fuori casa per lavoro, trova modi per rientrare prima Chiaramente hai meno margine se per esempio lavori su turni o hai obblighi di presenza. Comunque: impegnati per rientrare prima possibile dal lavoro. Non sarà per sempre, ma se questo è un periodo duro a casa anche mezz'ora potrebbe aiutare molto. Non aspettare che venga chiesto esplicitamente, se percepisci fatica, nervosismo e irritabilità, pensaci tu. Come fare? Per esempio potresti considerare di accorciare la pausa pranzo se il tuo lavoro te lo permette. A volte perché pranziamo con colleghi, magari anche al ristorante o nella mensa a 15 minuti a piedi, finiamo per fare pause pranzo da 1.5 ore o più quando basterebbero 30-45 minuti. Perdite di tempo in una giornata lavorativa dal libro "Bastava chiedere" di Emma. Se la pausa pranzo avesse una durata fissa, considera allora di sfruttarla per fare sport, che poi non sentiresti più l'esigenza di fare la sera dopo il lavoro. Quel tempo dedicato a fare sport o una passeggiata è tempo libero di cui io terrei traccia. Oppure potresti immaginare di combinare il viaggio per recarti al lavoro allo sport. Ultima considerazione sul part-time. Anche tu sei di quelle persone che economicamente potrebbero lavorare a tempo parziale ma non lo fanno perché "avrei le stesse cose da fare ma sarei meno pagatə"? Magari farai le stesse cose, ma in modo diverso e riuscirai comunque perché sarai più efficiente. In compenso, tornerai a casa mezz'ora prima dal lavoro ogni giorno oppure avrai mezza giornata "libera" ogni settimana. Chiamalo poco! Usciamo dalla mentalità di stare in ufficio per marcare presenza, perché non sta bene uscire prima del o della superiore. 5. Sfrutta i viaggi per recarti al lavoro per informarti su temi come l'educazione dei figli Come scrivevo nell'articolo sul carico mentale, trovo che applicare approcci educativi rispettosi sia un investimento che riduce la fatica della famiglia nel medio-lungo termine semplificandoti la vita. Oltre che a cambiare il mondo: crescere i figli con rispetto anziché minacce e punizioni è un passo verso una società migliore ed un pianeta meno sofferente. Io ci credo. Se sei in auto in luoghi non troppo trafficati o sui mezzi pubblici considera di ascoltare podcast di educazione infantile. Quello che mi sento consigliare assolutamente è quello di Carlotta Cerri, Educare con calma. Tra l'altro sono stata ospite nel podcast di Carlotta in questi episodi: 86. Stereotipi di genere: facciamo piccole rivoluzioni / con Zaira 115. 20 idee pratiche per educare alla parità di genere / con Zaira 120. Carico mentale: che cos'è e 8 strategie per ridurlo / con Zaira Anche se i partner hanno percentuali di lavoro molto simili, il loro interesse nell'ascoltare podcast sono generalmente diversi. Anche se consciamente pensiamo di essere in una relazione paritaria, ad un livello inconscio, i bambini e la loro educazione sono ancora percepiti come "faccenda da mamme". Lo vedo anche nella mia famiglia: se io ascolto diversi episodi sul tema dell'educazione rispettosa, mio marito preferisce i podcast che parlano di digitalizzazione. Gli devo chiedere e ricordare di ascoltare il tal episodio sul tema di educazione particolarmente rilevante. Perché lo faccio? Perché siamo d'accordo sul principio e non ho voglia di usare il mio tempo e le mie energie per educare anche mio marito. Anche per le sfide che affrontano le nostre bambine e bambini: chi si informa su come aiutare la figlia a lasciare il pannolino? Chi cerca di capire come fare a crescere il figlio multilingue? Chi parla con il figlio di educazione emotiva e sessuale? I figli sono di entrambi e trovo ingiusto che sia solo un genitore ad informarsi. A questo proposto mi sono rimaste in testa due interviste a due genitori di una bambina trans [1]. Il papà, dice di non capire fino in fondo la questione della identità di genere non allineata con il sesso assegnato alla nascita. Poi la persona che intervista gli chiede se allora in questi anni si è documentato per comprendere meglio sua figlia. Ti riporto parte della sua risposta: No, io no. Non mi sono documentato più di quel tanto. È più mia moglie che in maniera molto attiva è andata a cercare documentazione, ha letto libri e cose di questo tipo. Io sono più dell'idea di improvvisare. Come se fossi un padre qualsiasi, non è che devo fare qualcosa di speciale. Non penso neanche che leggere libri sulle esperienze personali di qualcun altro possa aiutarmi. Quindi in maniera un po' napoleonica mi son detto "iniziamo e vediamo da che parte va". Coerente la testimonianza della compagna, madre di una bambina trans: Non è una cosa per cui ero pronta, per cui ero informata e ho dovuto farlo. Informarmi, riflettere e diventare molto più consapevole di molte cose. Nel corso del podcast mi ha colpito anche questa frase, riferita al momento in cui si rende conto che suo figlio poteva in realtà essere una figlia trans: Mi ha fatto una paura boia. Ed ero sola, completamente sola. Non c'era un medico che mi desse una risposta, mio marito non ne voleva nemmeno parlare. È chiaramente possibile che questi due approcci siano diversi per questione di carattere. Ma sospetto che questo sia un modello che si ripete spesso nelle coppie eterosessuali in base al genere. Al di là delle dimensioni della sfida legata alla prole, credo che spesso sia ancora la donna a farsene carico. E se i podcast non sono il tuo media preferito, leggi un libro o degli articoli, magari la sera invece di fare altro. 6. Compi più attività del quotidiano assieme ai tuoi bambini Cosa intendo? I bambini amano passare del tempo con i genitori. Da quello che so, almeno da più piccini adorano anche essere coinvolti nelle faccende quotidiane e prendersi responsabilità commisurate alla loro età. Quando sei con i bambini, oltre a fare attività incentrate solo su di loro, considera di coinvolgerli in attività quotidiane come: Cucinare Fare la spesa Fare giardinaggio Fare i compiti con loro Andare in posta a spedire dei pacchi Qui potresti dirmi: ma sei matta? Con la coda che c'è sempre alla posta! Non è un'attività da fare con i bambini! Io ti dico che invece è un'ottima occasione per praticare la pazienza o il rispetto del proprio turno. Portare i rifiuti riciclabili ai punti di raccolta Andare a comprargli vestiti o scarpe quando servono …Così possono anche scegliere da sé! Andare a comprare ciò di cui ha bisogno lo zio ammalato e portarglielo Portare l'auto in garage per il servizio e tornare con i mezzi pubblici … Ci metterai più tempo a fare queste attività rispetto a quando non hai i bambini con te? Molto probabile. Ma avrai comunque fatto una o due attività in più utili a all'economia domestica, molto educative peraltro. Il gioco va bene ma non deve essere l'unica attività da compiere con i bambini. L'affermazione di Monneret in "devo dirti sempre tutto" va proprio in questa direzione: Da una decina d'anni, gli uomini si occupano maggiormente dei figli […] ma, anche in questo caso, prediligono attività gradevoli come il gioco, la conversazione o l'apprendimento. La cura dei figli, i compiti a casa, o accompagnarli alle varie attività restano appannaggio del 65% delle madri: tutto ciò che deve essere fatto rimane di competenza della donna. Purtroppo non so da dove esca quel 65%, spesso nel libro vien citato l'Insee, l'istituto nazionale francese di statistica e studi economici. 7. Progetta delle mini vacanze genitore-prole Credo fossimo in un periodo in cui sentivo la fatica di mio marito, forse perché io lavoravo molto ed ero partita diverse volte nelle ultime settimane per lavoro. Mio marito per lavoro viaggia meno di me quindi ha meno possibilità di staccare dalla quotidianità con un treenne. Io lavorando molto sentivo invece l'esigenza di passare del tempo con il bimbo. È stato davvero bello, mio figlio parla ancora adesso di quelle 36 ore come di un'avventura meravigliosa che vorrebbe rifare. Ora, questo che abbiamo fatto è sicuramente qualcosa di economicamente impegnativo. Stiamo comunque parlando dell'ambiente delle piste da sci in Svizzera [2]. Si può pensare ad alternative molto più economiche come al campeggio o l'andare a trovare i nonni che abitano a 2 ore di auto o di treno, per esempio. Il genitore che rimarrà a casa ne verrà giovato ma anche quello che parte, anche se in maniera diversa. 8. Rendete più semplice delegare Molti genitori, direi specialmente genitrici, fanno fatica a delegare la cura dei figli al partner perché "fa peggio" o "addirittura non ce la fa proprio". Questo succede perché spesso le mamme sono il genitore di default. Lo diventano a partire dei primi mesi di vita dei figli a causa delle politiche statali e aziendali molto asimmetriche per padri e madri. Penso ai congedi maternità e paternità di durata molto diversa. Quest'essere esperte dei figli, che in realtà significa solo aver avuto più tempo per praticare, si insidia e contribuisce a far sì che se un genitore deve ridurre la percentuale lavorativa, questo sarà più probabilmente la donna. Altri fattori determinanti sono: i ruoli di genere tradizionali: ad esempio la pressione sociale della donna ad accudire i figli pena il senso di colpa e quella del padre di guadagnare soldi per la famiglia la differenza salariale tra uomo e donna che spesso rende più economicamente vantaggioso che l'uomo lavori più della donna anche a parità di professione o ruolo il fatto che le professioni segregate per genere spesso siano più prestigiose e ben pagate per gli uomini e meno per le donne. Rendete più semplice la delega, dicevo. Quindi per tutti questi motivi spesso la madre passa più tempo con i figli e ne diventa l'esperta. Cercate attivamente di spezzare questo circolo vizioso. Riconoscete che sì, un genitore magari ha bisogno di più pratica e più tempo. Ma se questo tempo non viene lasciato e se non si ha la volontà di praticare, continuerà ad esserci il genitore di default e il carico della cura dei figli non avrà modo di essere condiviso. Non cadiamo nella trappola del "la mamma è sempre la mamma", come scrivevo in una delle mie ultime newsletter. Riflessioni finali La parità tra donne e uomini, la cosiddetta uguaglianza di genere, si misura anche in casa. Una situazione può essere paritaria anche se la donna è una casalinga a tempo pieno, o quasi. Così come le statistiche mostrano che molte situazioni sono squilibrate anche quando i genitori hanno percentuali lavorative uguali. Un rapporto di coppia paritario si misura in termini di serenità e dignità di tutte le persone coinvolte, di tempo libero dei genitori e di coinvolgimento dei padri nella crescita dei figli. Purtroppo vedo come sotto molti aspetti la genitorialità è ancora un "mestiere" segregato per genere… di dominio femminile. Questa differente interpretazione del ruolo genitoriale in base al genere rende difficile ripartire equamente il carico mentale familiare all'interno della coppia. Se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto, mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto o ricondividendolo. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] Questo bel podcast si chiama The deep NEsT. E il loro motto è: "La diversità è il nostro punto di partenza. L'arrivo lo scopriamo insieme". ⇧ [2] Il costo maggiore è dato dalla notte in albergo, costata circa 180 CHF (circa 180 Euro) e il viaggio in treno (fino ai 6 anni si viaggia gratis, io ho pagato forse 80 CHF per andata e ritorno, avendo il metà prezzo. Ma alcuni orari costano meno e si può arrivare a pagare solo 50 CHF per la stessa tratta, con il metà prezzo.). Pranzo e cena del primo giorno li abbiamo fatti a mo' di spuntini comprati in un supermercato. Pranzo al ristorante circa 30-50 CHF, risalita in teleferica fino a 3000 m 10 CHF. Un'altra teleferica era invece compresa nel pernottamento in albergo. L'affitto per sci e slitta ce l'hanno regalato visto che era bassa stagione e sono abituati ad affittare per una settimana o almeno una giornata e non solo per qualche ora. Il totale di quest'esperienza piuttosto cara rispetto alle alternative è stato di circa 340 CHF (340 euro). ⇧

  • 5 motivi per leggere oltre gli stereotipi

    Ma servirà davvero la diversità nei libri per l’infanzia? Vale la pena sforzarsi di scegliere libri non stereotipati? Una volta ho letto qualcuno che diceva che per crescere una figlia che sappia affrontare le ingiustizie di genere: “Non basta acquistare libri con personaggi emancipati e senza stereotipi sessisti.” Il messaggio continuava specificando che noi genitori... “[...] dovremmo rimboccarci le maniche e superare i nostri limiti del nostro contesto; combattere le ingiustizie delle nostre vite”. Dobbiamo vivere secondo i principi della parità di genere per dare l'esempio. Anche se vedo quello che si vuole dire con queste parole, non sono completamente d’accordo. Non sono d’accordo perché si sminuisce un piccolo primo passo concreto verso la parità di genere: leggere libri scelti intenzionalmente per educare oltre gli stereotipi. Per creare un mondo più giusto in cui possano convivere pacificamente tutte le differenze del genere umano. Un primo passo che è a disposizione di ogni famiglia. Perché non tutti possono superare i limiti del loro contesto oggi. In questo articolo ti spiego 5 motivi per cui secondo me invece è utile leggere libri per l'infanzia non stereotipati. Cosa trovi in questo articolo: È un gesto concreto e quasi sempre fattibile È un modo per esporre ed esporci alla diversità Permette di intavolare discussioni importanti in un contesto sicuro Abitua ad un certo tipo di linguaggio Fa bene anche a te, persona adulta Riflessioni finali È un gesto concreto e quasi sempre fattibile L'attitudine di sminuire un problema in favore di problemi più grandi è detto benaltrismo. Da Garzanti Linguistica la definizione di benaltrismo infatti è la: tendenza a spostare l’attenzione dal problema in discussione ad altro che si addita come più importante o più urgente. Chi sminuisce la lettura di libri per la parità perché "i problemi sono ben altri" non calcola alcune cose: Se ti metti obbiettivi troppo grandi, non fai nulla, non cominci nemmeno. Gli obbiettivi devono essere raggiungibili. Se il tuo obbiettivo è educare tua figlia alla parità, beh, forse non comincerai dicendo oggi al tuo cliente più importante che è sessista. Lo so che avremmo il diritto di farlo, ma a volte tenere un lavoro è pura necessità e le ingiustizie vanno scardinate nel lungo termine. Alcune persone non possono o non vogliono superare i limiti del loro contesto. Riformulo la frase della persona scettica riguardo all'utilità di libri per l'infanzia non stereotipati: "è inutile che leggi un libro a tua figlia con una protagonista forte ed emancipata se tu stessa non lo sei" o "è inutile che presenti libri con padri in ruoli di cura e poi tu sei sempre in giro per lavoro e deleghi tutto il carico mentale familiare alla tua compagna". Io dico che: Non è detto che tu voglia cambiare la tua situazione di impostazione tradizionale. Se tutte le parti stanno bene non dovete modificare il vostro assetto famigliare tradizionale per educare alla parità. Ma volete mostrare alternative alla vostra scelta ai vostri figli e figlie. Se invece ti piacerebbe cambiare qualcosa di questo assetto, diciamo che non è possibile vedere subito un risultato concreto. Bisognerà discuterne, trovare soluzioni, compromessi. Potrebbero volerci anni. Allora io ti dico: leggere un libro per sradicare stereotipi è qualcosa che puoi fare oggi; sopratutto se dai un'occhiata alla sezione delle risorse di questo sito, in lento ma costante aggiornamento. È un modo per esporre ed esporci alla diversità Ovviamente sarebbe meglio esporci alla diversità nel mondo reale e non attraverso i libri. Ma questo non è sempre fattibile nell'immediato. I libri ci vengono quindi in aiuto per mostrare diversi tipi di persone e realtà. Mi viene in mente un passaggio in "Ho un fuoco nel cassetto" di Francesca Cavallo: Spesso, i libri per bambini che contengono le storie di persone LGBTQIA+ vengono tacciati come 'propaganda'. È un argomento che non capisco. Noi esistiamo. Lavoriamo, viviamo, andiamo al supermercato, danziamo, ci innamoriamo, moriamo. E allora non fa forse propaganda chi sceglie di nascondere ai bambini la nostra presenza? Chi costruisce il mondo a propria immagine e somiglianza e sceglie ogni giorno di raccontare ai bambini una versione distorta della realtà in cui persone disabili, omosessuali, transgender, razializzate semplicemente non esistono? Capisco che ci possono essere dei timori, in quanto genitori, ad esporre i bambini alla diversità. Noto ad esempio un'ipersensibilità riguardo a temi come identità di genere o orientamento sessuale. A causa dell'ignoranza sul tema, molte persone credono che così facendo rischiamo di confondere i bambini. Di "deviarli", che è una specie di eufemismo per dire "ho paura che diventino gay o trans a loro volta". A questo proposito, ecco un altro passaggio dal libro di Francesca Cavallo: C'è chi dice che raccontando storie che includono personaggi LGBTQIA+ vogliamo far diventare i bambini gay. È assurdo perché se c'è qualcuno che sa che è impossibile 'diventare' diversi da quelli che si è, beh, siamo proprio noi. Nessuno vuole che bambini eterosessuali o cisgender diventino gay o transgender. Io voglio solo che tutti i bambini, e non solo quelli eterosessuali e cis, abbiano la possibilità di diventare adulti liberi, perfino felici. Se anche tu in un certo senso condividi questi timori, ti chiedo solo di restare con me. Continuare a leggere i miei contenuti e attingere dalle risorse che propongo, sono sicura che riusciremo a fare chiarezza. Si teme molto meno ciò che si conosce. Tra l'altro Francesca Cavallo è l'autrice di libri per l'infanzia come Storie della buonanotte per bambine ribelli, Elfi al quinto piano o Fuoriserie, uscito a maggio 2023 e non ancora recensito ma super consigliato. La diversità può anche essere rappresentata da diversi tipi di corpi o di famiglie. La tua famiglia magari è di stampo "tradizionale" ma attraverso i libri mostriamo che questa non è l'unica possibilità. Questo tra l'altro è il motivo per cui ho scritto io stessa un racconto in cui un'ingegnera che è anche mamma parte in viaggio di lavoro. Mi mancavano libri che rappresentassero mamme che escono di casa per lavorare e papà che si occupano del resto. Alcuni esempi virtuosi che ho trovato in italiano finora è Arriva la mamma! ma anche Il trattore della nonna o,per bambini un po' più grandi, anche ne Gli occhiali da sogno c'è una mamma direttrice. Concludendo: esporre alla diversità contribuisce a sradicare stereotipi o comunque ne rallenta il processo di formazione. Permette di intavolare discussioni importanti in un contesto sicuro Ti racconto un mini aneddoto: La prima cosa da fare magari è cercare di non rispondere con una frase come "Perché mangia tanto". Non sempre è vero che una persona con la pancia grossa mangia molto. Comunque non escludo di aver risposto così la prima volta che mi è arrivata una domanda del genere... Ma il messaggio importante in questo caso potrebbe essere: "Ci sono corpi di diverse forme, colori e grandezze". Ed è proprio questo che intendo con "intavolare discussioni importanti in un contesto sicuro". Preferisco parlare con il mio bimbo di queste cose in un contesto positivo e riservato; non tutta imbarazzata davanti ad una persona con la pancia grossa, per intenderci. Perché magari ad un certo punto potremmo aggiungere: "Sarebbe meglio non commentare i corpi delle persone. Non è facile, vero? Le persone ti dicono spesso che hai un bel colore di capelli e dei begli occhi". Poi mi è capitato comunque che mio figlio commentasse il corpo di una persona. Come mi ha insegnato Carlotta Cerri: i bambini devono imparare le stesse cose in contesti diversi. Ma penso che lo farebbe più spesso se non avessimo trattato l'argomento a casa grazie ad un libro. La consapevolezza di mio figlio in questo senso sta aumentando: E sicuramente ho aggiunto anche qualcosa sul fatto che al giorno d'oggi certi corpi sono discriminati e che dovremmo dare meno peso all'aspetto dei corpi. Diciamo che qui posso ancora lavorare perché non ho trovato una frase efficace adatta ad un bambino piccolo d'età. Se hai input non esitare a lasciare un commento qui sotto! Un altro argomento importante potrebbe essere quello dell'espressione di genere, ovvero come una persona decide di presentarsi al mondo. È un argomento trattato bene per esempio in Visto che vestiti?. Intavolare discussioni su temi come "ognuno può vestirsi come gli pare" è importante per due motivi: Dà più sicurezza alla tua bambina o al tuo bambino qualora volessero presentarsi al mondo in maniera anticonformista e/o venissero presi in giro per il loro modo di essere. Previene che la nostra bambina o bambino prendano in giro a loro volta. Non voglio solo che mio figlio sia libero di essere se stesso: io voglio che lui lasci anche gli altri liberi di essere se stessi! Abitua ad un certo tipo di linguaggio I libri fatti davvero bene modellano un linguaggio rispettoso ed empatico che tiene conto delle varie sfacettature dell'umanità. Penso ad un libro che abbiamo in tedesco e che mostra come si fa un bebè. Non parla mai "della mamma che partorisce" ma della "persona che partorisce" tenendo conto per esempio di persone transgender ma anche di persone che poi danno in adozione un figlio o magari che partoriscono per altre famiglie. Un'altra abitudine linguistica che si può acquisire leggendo dei buoni libri è quella di aggirare il maschile generico quando possibile. Ad esempio, sempre nel libro "Un bebè! Come si forma una famiglia", ad un certo punto a proposito di procreazione medicalmente assistita vien detto: "La dottoressa o il dottore mettono l'embrione nell'utero". Sdoppiare il maschile generico "dottore" in "dottoressa o dottore" è estremamente importante perché: [1] Un altro esempio è quello dei femminili professionali. Non vengono usati (correttamente) i tutti i libri. Per questo sono contenta di trovare libri come Cosa faremo da grandi? della pedagogista di genere Irene Biemmi. In questo libro si presentano diversi femminili professionali a cui sopratutto l'orecchio della persona adulta deve ancora abituarsi. Fa bene anche a te, persona adulta Voglio darti 3 motivi per cui leggere intenzionalmente libri oltre gi stereotipi fa bene anche a te: 1. Affina il tuo spirito critico. Come? Beh, dovendo valutare criticamente i libri che proponi alla prole devi per forza mettere in campo il tuo spirito critico, ponendoti alcune domande. Sopratutto perché alcuni libri pensati per abbattere stereotipi in realtà non sono perfetti, come scrivevo nella mia ultima newsletter ma anche in questo articolo. 2. È un esercizio di mindfulness. Cosa intendo? Quell'essere presenti nel momento, un tipo di meditazione che dà molti benefici. Se decidi di leggere con intenzione libri per l'infanzia, cerchi di stare sul pezzo e non vagare con la mente. Spesso questi libri trattano argomenti delicati e hanno delle parti da omettere perché le persone a cui leggi non sono pronte a sentire certe formulazioni. È il mio caso quando incontro una frase come: La mia ombra è ROSA! Va matta per fiori, unicorni e fatine, e tutti quei giochi che son "da bambine". Una frase come questa io la modificherei conformemente alla mio primo consiglio pratico per educare alla parità di genere. Ovvero rimuovo la parte finale in cui si dice "da bambine". Anche e sopratutto perché mio figlio non ha ancora cominciato a dire cose come "quello è da bambina". 3. Educa anche te. Sì, anche che noi persone adulte possiamo imparare lezioni di diversità e empatia dai libri per l'infanzia. Penso al papà di Danny, la donnola che ama vestirsi nel libro Visto che vestiti?. O ai genitori di Florian (Calvin in inglese), accoglienti quando la fino ad allora bambina dice loro di essere un bambino. Se poi passiamo ai libri per (pre)adolescenti allora ecco che possiamo imparare davvero molto da un solo libro: penso ad esempio ad Io dico no agli stereotipi. Riflessioni finali Ora sai perché è utile scegliere ogni giorno di leggere libri diversi e non stereotipati alla prole. È uno sforzo, ma è fattibile e concreto e va nella giusta direzione. Un libro alla volta contribuiamo a crescere futuri adulti consapevoli e rispettosi delle differenze. E visto che voglio rendere accessibile questa pratica a quante più persone possibile, riassumo i miei sforzi nella sezione risorse del mio sito. Così eviti di prendere un libro che prometteva bene e invece era scarso e non perdi troppo tempo nella ricerca. Input e titoli che ti sono piaciuti sono i benvenuti nei commenti! E se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto o ricondividendolo. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] Ho estratto queste conclusioni dal libro di psicolinguistica "Le cerveau pensa-t-il au masculin?" ⇧

  • 5 passi per sradicare stereotipi di genere in famiglia

    Ti svelo 5 cose che come genitore puoi fare oggi per una società più paritaria domani. Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze. Questo è uno dei 17 obiettivi dell’agenda 2030 condivisa dai governi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per uno sviluppo sostenibile. E io sono qui per dirti che mentre i governi fanno la loro parte, anche tu puoi fare la tua a partire da oggi. E il tuo impatto sarà maggiore se stai educando dei bambini e delle bambine. Perché se per noi persone adulte è difficile sradicare stereotipi e pregiudizi, i bambini nemmeno ce li avrebbero se non glieli passassimo. Crescere un figlio alla parità di genere è per me anche un atto politico. Qualcosa di concreto che possono fare tutte le famiglie per cambiare il mondo. Come? Condivido con te 5 passi per sradicare gli stereotipi di genere che puoi applicare oggi. Cosa trovi in questo articolo: Primo passo: informati Secondo passo: dai valore alla libertà Terzo passo: nota con curiosità i tuoi stereotipi e pregiudizi Quarto passo: sii consapevole dell’uso che fai della lingua Il maschile generico o maschile sovraesteso I femminili professionali Quinto passo: esponetevi alla diversità Riflessioni finali Primo passo: informati Lo so, questo è quasi sempre il mio primo consiglio. È un continuo informarsi anche dopo che hai iniziato il tuo percorso sulla via della parità di genere. In particolare, comincia a leggere o ascoltare contenuti che riportano dati sulla disparità di genere. Che ti mettano di fronte alla realtà. E potremmo andare avanti così per ore. Per ogni punto dovremmo chiederci perché. Perché mia figlia dovrebbe avere meno probabilità di mio figlio di diventare capa di un team, di un’azienda, di un governo? Perché è più probabile che mio figlio scelga una materia STEM rispetto a mia figlia? E nel cercare le risposte, diffida di chi la vuole fare semplice rispondendo a suon di natura e ormoni. Pacilli in “Uomini duri”: “Le ricerche, inoltre, ci dicono che le donne che descrivono le differenze tra uomini e donne come biologicamente determinate sono inclini ad assumere comportamenti più stereotipicamente femminili e gli uomini che hanno la stessa convinzione dedicano meno tempo alla cura dei figli […].” Parti dal presupposto che generalmente sopravvalutiamo la biologia. E se anche la biologia avesse un influsso…non ti sembrerebbe un approccio alla vita un po’ passivo? Del tipo: “Ormai sono una donna/uomo, sono fattə così”. Risposte più articolate le puoi trovare: leggendo libri, articoli, post ascoltando podcast guardando documentari o film seguendo corsi che parlino di questi temi. Quasi tutto quello che ascolto e ritengo valido lo riporto nelle stories di Instagram. Mentre i libri che vale la pena leggere sono recensiti nella sezione risorse del mio sito. Di solito riporto dei libri che mi sono risultati scorrevoli. Mi rendo conto infatti che raramente questi temi vengono presentati in maniera attraente: blocchi di testo scritti in un font minuscolo con frasi lunghe mezza pagina piene di parole che ho già sentito nominare ma che non so esattamente cosa significano. Questo è anche il motivo per cui ho deciso di aprire un blog che trattasse di stereotipi di genere in maniera più accessibile. Che io stessa poi a tratti mi sento un filino pesante però ti assicuro che almeno ci provo ad essere il più chiara e leggera possibile. Secondo passo: dai valore alla libertà Dai valore alla libertà di scelta, di espressione, di seguire i propri interessi. Una volta avevo sentito questa metafora: i genitori dovrebbero essere come dei giardinieri per i propri figli. Il nostro compito è quello di creare delle condizioni al contorno ottimali, dando acqua, luce e nutrienti nelle giuste quantità. Ma il tipo di fiore che ne verrà fuori è già lì, è la persona che stiamo crescendo e che dovremmo osservare fiorire per come è. Acqua, luce e nutrienti potremmo dire che sono ingredienti come accoglienza, valori e limiti che vogliamo dare. Al di là di questi ci sarà la nostra bambina, con i suoi gusti, interessi e personalità. Ti racconto un aneddoto per mostrarti come ho cercato di seguire mio figlio oltre gli stereotipi di genere. All’inizio anche io ero intimorita da questa faccenda. Però mi ha aiutata un sacco. Mi ha aiutata vedere mio figlio in gonna perché forse nell’inconscio pensavo che il mio bimbo sarebbe cambiato per un pezzo di stoffa di una certa forma e colore. È invece molto interessante osservare come una persona rimanga la stessa, indipendentemente dai vestiti che indossa. C’è un punto che viene sollevato spesso, riporto un messaggio che ho ricevuto: “Ciao Zaira, vorrei sapere la tua opinione. Figlio di 4 anni che vorrebbe comprare e vestirsi con la gonna perché è bella e può fare le giravolte ad effetto. Gli ho detto di sì ma ho paura che gli altri bimbi all’asilo gli dicano che è una femmina. Cosa suggerisci, ne parlo con le maestre?” La paura delle prese in giro. Come dicevo in una newsletter, abbiamo due possibilità: Plasmare le inclinazioni delle nostre bambine e dei nostri bambini, in buona fede, per evitare loro sofferenze come prese in giro. Lasciare che le nostre bambine e i nostri bambini siano loro stessi, facendo ciò che è in nostro ragionevole potere per attutire o evitare il colpo, quando si presenteranno al mondo in maniera anticonvenzionale. In ogni caso, non potremo evitare loro ogni sofferenza. Dobbiamo piuttosto impegnarci a fornir loro degli strumenti per superare attimi di sofferenza che inevitabilmente la vita porterà. Renderli sicuri di sé onorando la loro libertà di scelta è un primo passo importante nella giusta direzione. Terzo passo: nota con curiosità i tuoi stereotipi e pregiudizi Ragionare per stereotipi è un meccanismo naturale del nostro cervello. Il cervello fa letteralmente di tutta l’erba un fascio per non soccombere alla mole di informazioni che ci circonda. Quello che devi sapere, però, è che categorizzando commettiamo “degli errori di approssimazione”. Cosa intendo? Ad esempio puoi pensare che i bambini sono più agitati delle bambine. È uno stereotipo, una credenza, una generalizzazione. A causa della profezia che si autoavvera può essere che questo stereotipo finisca per avere un fondo di verità nella tua esperienza. Perché come società rafforziamo comportamenti in linea con gli stereotipi di genere. Ma non tutte le bambine sono calme e non tutti i bambini sono agitati. Prova a notare queste tue credenze, e vedere quando arriva addirittura ad essere un pregiudizio. Come quello di valutare una donna inadatta a dei ruoli dirigenziali. A questo proposito riporto un aneddoto che mi hanno raccontato perché molto eloquente. Credo sia una cosa che succede a tutte le persone, anche se in maniera inconsapevole: Una cosa che aiuta è notare quello che pensi delle persone attorno a te. Come nell’esempio sopra, in un locale, negozio o ufficio, chiediti: “Perché assumo che il capo sia lui? Non potrebbe essere lei?” Stereotipi e pregiudizi affiorano anche quando si giudicano altre persone. Succede spesso quando si spettegola, attività che sto cercando di evitare quanto più possibile nella mia vita. Idealmente poi si può parlare di questi pregiudizi, come ha fatto la persona raccontandomi l’aneddoto qui sopra. Non c’è nulla di cui vergognarsi, è naturale che il nostro cervello ci giochi questi scherzi. Allenarsi a notare i nostri stereotipi e pregiudizi è un passo fondamentale. Quarto passo: sii consapevole dell’uso che fai della lingua Spesso la lingua viene usata in maniera sessista, nel senso che discrimina le donne. E non parlo solo di modi di dire e proverbi come: “Donne al volante, pericolo costante” “Non fare la femminuccia” “Sei una donna con le palle” O di insulti, che anche quando sono rivolti a uomini, in realtà colpevolizzano una donna. Pensa a insulti ancora in voga come “Figlio di ”, “Cornuto”, “bastardo”, “sfigato”. Nel mio articolo sui consigli pratici per educare alla parità di genere do 5 consigli pratici per usare la lingua in maniera più paritaria. Riprendo due temi molto importanti. Il maschile generico o maschile sovraesteso In molti contesti si ha la tendenza ad usare il maschile generico. Anche chiamato maschile sovraesteso, universale, addirittura inclusivo. È una regola grammaticale. Ad esempio dico che gli scrittori sono persone che scrivono libri e implicitamente intendo sia scrittori che scrittrici. Sempre più ho cominciato con mio figlio a “sdoppiare integralmente” alcune parole per evitare il maschile generico e lo faccio soprattutto per quei ruoli o mestieri stereotipati. Riprendo qui, traducendo liberamente dal francese, le conclusioni di studi recenti riguardo all’interpretazione del maschile generico [1]: Quindi se ad esempio in un libro si parla degli “ingegneri aerospaziali” io dico “ingegneri e ingegnere aerospaziali”. È vero che oggi le ingegnere aerospaziali sono in minoranza e che il maschile sovraesteso è una convenzione linguistica. Ma penso che in questo periodo storico sia necessario supportare il cambiamento rendendo esplicite delle possibilità che sono ancora implicite. I femminili professionali Come anticipato qui sopra, l’utilizzo dei femminili professionali è particolarmente importante. Molti mestieri sono ancora segregati per genere a causa di stereotipi radicati nella nostra società. Potremmo aiutare le giovani persone a scegliere un percorso in base ai loro interessi e talenti anziché in base al loro genere grazie all’uso dei femminili professionali. Se ci fate caso a molte persone non piacciono i termini femminili di professioni ritenute prestigiose e cariche importanti. Si pensi al termine molto legato al potere: “capo”. La sociolinguista Vera Gheno ha affermato [2]: “Se andate nello Zingarelli trovate scritto che capo nel senso di persona che sta a capo di qualcosa ha il suo femminile pacifico capa.” Invece, ad esempio la guida della Confederazione Svizzera per un linguaggio inclusivo di genere dice: “Un caso particolare è costituito dal termine «capo». Questo termine è di genere maschile ma viene comunemente usato anche in riferimento alle donne: malgrado si stia sempre più diffondendo, la forma femminile «capa» continua ad avere per i più una connotazione scherzosa e a essere sentita comunque come colloquiale.” E poi: “Per ovviare a eventuali ambiguità [...] nei testi informativi è opportuno esplicitare il nome dell’interessata ed evitare formulazioni che obbligano a declinare al maschile participi e aggettivi.” Lo vedi il paradosso? Non applicare la grammatica italiana usando “capo” anche per le donne, porta a situazioni di ambiguità. A chi di fronte all’argomento della lingua pensa che i problemi sono ben altri dico: Da qualche parte si deve pur cominciare, questo è un passo concreto che tutte le persone possono fare a partire da oggi. Studi dimostrano che un uso più consapevole della lingua ha un effetto positivo sulla riduzione degli stereotipi di genere. Se invece di stare qui a discutere applicassi la grammatica italiana non perderemmo altro tempo e potremmo concentrarci sulle questioni più importanti. Mi viene il dubbio che se non accetti certi femminili professionali oggi, farai ancora più fatica ad accettare altre misure, più incisive, a favore della parità di genere. Penso ad esempio alle quote di genere, anche conosciute come quote rosa. Quinto passo: esponetevi alla diversità Può essere che la nostra famiglia viva bene all’interno di una famiglia “standard”: siamo tutti bianchi, eterosessuali, cisgender, abili. Il marito è il principale responsabile di portare soldi a casa, la donna di mandare avanti casa e figli. È anche probabile che la maggior parte delle famiglie nel nostro ambiente rispecchino molto questo standard. Allora mi sento di consigliarti un’ultima cosa: esponi i tuoi bambini alla diversità. Come? Per iniziare magari attraverso: libri audiolibri cartoni animati o documentari … Mi rendo conto che non è sempre un compito facile, per questo ho una sezione risorse sul sito in costante aggiornamento, dove recensisco libri per l’infanzia che vale davvero la pena leggere in famiglia. Altri modi di esporre i bambini e le bambine alla diversità sono: Visitare, se puoi, esposizioni particolari nei musei. Spesso sono gratis almeno per le persone più piccole d’età. Visitare altre regioni e paesi con differenti usanze. A volte basta prendere un treno per 2 o 3 ore. Noi per spendere meno e permetterci un modello familiare in cui entrambi i genitori lavorano part-time, viaggiamo con HomeExchange. Una piattaforma che permette di viaggiare gratis, se te la senti di mettere la tua casa a disposizione in cambio. C’è giusto una tassa annuale di 149 euro, applicata solo se decidete di fare uno scambio. Frequentare famiglie con caratteristiche diverse dalle tue Perché è importante esporre i bambini alla diversità? Per rendere la diversità normale. In che senso? Per abituare ed abituarci che il mondo è vario. Per mostrare che ci sono altri modi di vivere oltre al nostro. Questo aiuterà a far sì che: Il tuo bambino o la tua bambina non si senta sbagliata se non volesse seguire l’esempio che avete in famiglia. Magari non vorrà sposarsi, magari il bimbo avrà desiderio di restare a casa con i bimbi, magari la figlia è lesbica. Se invece tua figlia o figlio si sentirà a suo agio seguendo il vostro modello, è più probabile che apprezzerà la diversità anziché discriminarla. Sapendo che il nostro modello non è l’unico o il migliore, saprà che ci sono molti diversi modi di stare al mondo e che tutti sono validi. Riflessioni finali Questo è stato un articolo un po’ pesante, mi rendo conto. Ho cercato di alleggerirlo il più possibile😅 Se hai bisogno di consigli più pratici per educare alla parità di genere ti consiglio questo articolo che ne contiene una ventina. I passi consigliati in questo articolo sono più da integrare un pezzettino alla volta nella nostra vita, rappresentano uno stile di vita. Uno stile di vita consapevole che prende atto di stereotipi e pregiudizi e cerca, come meglio può, di sradicarli. Grazie per il tuo impegno. Se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] Pascal Gygax, Sandine Zufferey e Ute Gabriel in Le cerveau pense-t-il au masculine?. Cerveau, langage et représentations sexistes. Edito LeRobert. ⇧ [2] Nell’episodio #34 di Palinsesto femminista ”Linguaggio inclusivo (con Vera Gheno)”. ⇧

  • Gestione del tempo e produttività: come faccio a fare tutto?

    Ti do un punto di vista alternativo sul tema e condivido 7 tecniche che uso per gestire meglio il mio tempo. Facciamo un esperimento. Vai su un sito che vende molti libri e nella barra di ricerca digita “gestione del tempo”. Nota i nomi delle persone che hanno scritto quei libri: Luca, Brian, Fabrizio, Flavio. Sono quasi tutti uomini. Sarà perché gli uomini scrivono più libri? Fai lo stesso digitando “metodo montessori”, “autosvezzamento” o “disciplina dolce”: le donne sono molte di più. È interessante notare che la gestione del tempo è un settore di dominio maschile. Secondo me è un aspetto molto importante da tenere a mente quando si leggono contenuti su questo tema. Perché tanti concetti e consigli sono espressi da un punto di vista maschile. In questo articolo farò delle premesse importanti sul tema della gestione del tempo e della produttività. Una riflessione in particolare non l'ho ancora vista fare da nessuna parte. Penso di aver aggiunto un punto di vista diverso su questo settore. Cosa trovi in questo articolo Che cosa è la gestione del tempo? Gestione del tempo: il mio percorso 17 libri su gestione del tempo ed efficacia personale che ho letto Puoi gestire grandi cose grazie a chi? E io come faccio a fare tutto? Il tempo è la risorsa più democratica che ci sia? Il problema del se vuoi puoi I miei 7 migliori consigli sulla gestione del tempo Riflessioni finali Che cosa è la gestione del tempo? Con gestione del tempo intendiamo un insieme di tecniche e competenze per gestire meglio il tempo ed essere più efficienti. Serve a fare di più in meno tempo. È una disciplina nata in relazione al mondo del lavoro, dove ci si interroga sui modi per produrre di più. Credo che sia per questo che si tratta ancora di un settore di dominio maschile. È una cosa nata per l’industria e poi per i manager. Ma sempre più troviamo temi legati alla gestione del tempo anche nell’ambito della crescita personale, un ambito già più femminile. Oggi l’approccio prende in considerazione il fatto che siamo persone e non macchine. Quindi parlando di tecniche per essere più efficienti, si parla anche di equilibrio, gestione dello stress, salute mentale. Gestione del tempo: il mio percorso Ricordo che già da bambina mi facevo un sacco di to do list e applicavo intuitivamente la tecnica eat the frog first. Mangia prima la rana, ci torniamo dopo. Mi obbligavo a fare la cosa che mi annoiava di più per poi premiarmi con le cose più piacevoli da fare. È incredibile come certi aspetti di una persona siano ben presenti fin dall’infanzia. Ho iniziato a interessarmi davvero di gestione del tempo una decina di anni fa, quando ho avuto il privilegio di poter fare dei corsi di perfezionamento sul lavoro. Da allora ho seguito diversi corsi su gestione del tempo, tecniche di lavoro, gestione dei conflitti, di progetti, … 17 libri su gestione del tempo ed efficacia personale che ho letto Giusto per confermare quello che ci dicevamo qui sopra: nota i nomi degli autori, non c’è nemmeno una donna. Li elenco in ordine sparso e nella lingua in cui li ho letti: La dittatura delle abitudini. Come si formano, quanto ci condizionano, come cambiarle. Charles Duhigg Make Time: How to focus on what matters every day. Jake Knapp, John Zeratsky The 7 Habits of Highly Effective People. Stephen R. Covey La 25me Heure. Comment travailler 1 heure de moins chaque jour. Guillaume Declaire, Bao Dinh, Jérôme Dumont. Willpower. Rediscovering the Greatest Human Strength. Roy F. Baumeister, John Tierney Flow: The Psychology of Optimal Experience. Mihaly Csikszentmihalyi Getting Things Done. The Art of Stress-Free Productivity. David Allen. Focus. L’arte di concentrarsi. Leo Babauta Riconquista il tuo tempo. Vinci le distrazioni. Riprendi il controllo delle tue giornate. Cambia la tua vita. Andrea Giuliodori. The Distracted Mind: Ancient Brains in a High-Tech World. Adam Gazzaley, Larry D. Rosen The As if Principle. The Radically New Approach to Changing Your Life. Richard Wiseman Zen Habits. Handbook for life. Hundreds of tips for simplicity, happiness, productivity. Leo Babauta Il segreto nella vita è scegliere una cosa sola su cui concentrarsi per ottenere risultati eccezionali. Gary Keller e Jay Papasan Irresistible. The Rise of Addictive Technology and the Business of Keeping Us Hooked. Adam Alter Die 4-Stunden-Woche. Mehr Zeit, mehr Geld, mehr Leben. Timothy Ferriss 24/7 - Zeitmanagement. Tim Reichel Margin: Restoring Emotional, Physical, Financial, and Time Reserves to Overloaded Live. Richard Swenson Uao, sapevo che era un tema che mi appassionava ma non credevo che dal 2019 avessi letto o ascoltato così tanti libri sul tema 😳 Ne ho altri in lista d’attesa, terrò questa lista aggiornata. Puoi gestire grandi cose grazie a chi? Negli ultimi anni ho cominciato ad interessarmi anche di temi legati agli stereotipi di genere, pregiudizi, discriminazioni. Incrociando questi temi con quelli di gestione del tempo ho notato che chi parlava di questi temi era spesso un uomo, bianco, senza figli o con figli ma una compagna a gestirli. Qua e là una presenza fondamentale e dietro le quinte trapelava dai libri di uomini esperti di produttività. Googlando il nome di esperti di produttività e il termine “moglie” si trovano frasi come queste: “Mia moglie vuole il meglio per me e che abbia successo in quello che faccio” “Tornato dalle vacanze, ho ripreso in mano la mia lista di cose da fare, e complice l’assenza di moglie e figli ancora in vacanza, mi ci sono gettato a capofitto” “Mia moglie è fuori città. Mi sono appena reso conto che mio figlio ha mangiato pizza a tutti e tre i pasti oggi” Ho estrapolato dal contesto e non conosco personalmente queste persone. Sto facendo ipotesi e magari giungo a conclusioni ingiuste riguardo ai singoli casi. Credo però che in generale il mio pensiero sia valido. Comincia a crescere in me la consapevolezza che spesso gli esperti di gestione del tempo fanno grandi cose anche perché hanno qualcuno, di solito una donna, che li spalleggia. L’ultima frase mostra un esperto massimo di gestione del tempo che si occupa di un figlio mentre la moglie è fuori città. Tutto bene, mi dirai. Ma ti immagini lo stesso commento fatto da una donna? Una donna twitterebbe mai di aver dato al figlio tre volte la stessa cosa da mangiare in un giorno? Molto meno probabile. E se lo fa è perché si auto definisce una mamma di m---a. Fai un po’ te… Non è che questo esperto di gestione del tempo può permettersi questo tweet goliardico perché il resto dei giorni c’è qualcuno che si prende in carico la salute alimentare del figlio? Carico che, tra l’altro, prende del tempo? E io come faccio a fare tutto? Molte persone mi hanno scritto a seguito del mio articolo sul carico mentale interessate a capire cosa avessi studiato per poter gestire così bene tante cose. Come posso avere una carriera lavorando part-time? E allo stesso tempo mantenere un progetto come zairacconta? Sono sì una persona decisa, ho studiato e sono abbastanza disciplinata. Ma ho un sacco di privilegi, che non voglio siano dimenticati: Ho potuto studiare tecniche di efficacia e gestione del tempo anche in orario di lavoro Ho un superiore aperto di mente e fiducioso che ha accettato di promuovermi a quadro nonostante il part-time Ho nonni vicini che due giorni a settimana si occupano del bimbo Ho un marito che lavora al 50% Questa cosa succede a meno del 2.7% di famiglie con figli in Italia, capisci il privilegio? Mio marito si occupa del bimbo la notte e il mattino, così io mi posso alzare riposata alle 05:30 e scrivere le parole che stai leggendo. Puoi leggere più sul nostro modello familiare in questo articolo. Oltre al fatto che sono bianca, eterosessuale, cisgender, di ceto medio, vivo nell'Europa occidentale e sono temporaneamente senza disabilità. Il tempo è la risorsa più democratica che ci sia? Questa è una delle prime cose che ti viene detta se ti interessi di produttività e gestione del tempo. Cito Andrea Giuliodori in “Riconquista il tuo tempo”: “[...] il tempo è la risorsa più democratica che esista. Io, te o l’uomo più ricco e potente del mondo avremo sempre e comunque giornate della stessa durata.” Sorvolo sul maschile (generico?) di “uomo più ricco e potente del mondo” 🙄 Qual è il messaggio di fondo che si vuole trasmettere qui? Abbiamo tutti lo stesso tempo a disposizione. Se applichi i giusti metodi, con il giusto impegno riuscirai ad ottenere grandi risultati. Come Steve Jobs, Bill Gates, Elon Mask. Non proprio. Le giornate hanno la stessa durata per tutte le persone ma non tutte le persone hanno la stessa quantità di tempo a disposizione per fare grandi cose. C’è chi: ha qualcuno a cui badare ha un lavoro poco pagato e deve lavorare a tempo pieno (magari perché è donna, o straniera, o con disabilità) chi per avere un lavoro ben pagato fa un lungo tragitto per andare al lavoro (spendendo così ore della sua giornata per recarsi e tornare dal lavoro) chi può fare tutto più lentamente perché ha una disabilità, non per forza per colpa della disabilità ma per l’ambiente. Penso a quella volta che con un passeggino mi sono trovata di fronte a delle scale super ripide. Io ho potuto togliere mio figlio dal passeggino e scenderle ma se ero in sedia a ruote avrei dovuto fare un giro immenso per andare dove volevo chi deve spendere il suo tempo a imparare l’inglese o un’altra lingua importante per il luogo in cui abita … Il problema del se vuoi puoi Proprio ieri ascoltavo un podcast di un imprenditore digitale che parlava delle cose che hanno funzionato per portarlo al successo. Ad un certo punto parlava dell’attività fisica, perché mantenersi in forma è necessario a chi vuole essere produttivo. Fin qui nulla da dire: più sport fai, più sei in forma, meno acciacchi hai, più resisti allo stress, … Ma poco dopo il discorso ha virato sull’aspetto del corpo e sul fatto che se ci piacciamo siamo più sicuri di noi stessi e otteniamo più cose perché le persone lo percepiscono. Anche questo può senz’altro essere vero. Ma viene trascurato un dettaglio. Certe persone, con tutto lo sport del mondo, non avranno mai il corpo che piace secondo gli standard di bellezza odierni. Se una persona meno consapevole lo ascoltasse, potrebbe sentirsi un sacco sbagliata perché il messaggio è: “se vuoi un corpo che ti faccia sentire sicuro di te stesso puoi allenarti di più”. Ma non è sempre così. Inoltre, come ci dicevamo sopra, non tutti abbiamo lo stesso tempo a disposizione per allenarci. ⚠️ Non dico che devi cedere al vittimismo e arrenderti e pensare che non ce la farai mai. Ma credo che sia estremamente sano fare un check dei privilegi delle persone a cui ti stai confrontando. Le domande che dovresti porti sono: Quali sono le mie condizioni al contorno? Quali primi passi devo muovere per andare nella direzione che desidero? Cosa è realisticamente in mio potere in questa fase della mia vita? I miei 7 migliori consigli sulla gestione del tempo Una volta che hai ben calibrato le tue aspettative e le priorità in base alla fase della vita in cui ti trovi, se vuoi puoi applicare qualche trucco per gestire meglio il tuo tempo. Del tempo a disposizione che ti rimane, che è diverso dal mio e da quello della donna più ricca e potente del mondo, puoi trarre il massimo grazie ad alcuni accorgimenti. Ce ne sono a bizzeffe e ognuno deve trovare quello che funziona per sé. Ti lascio qui i miei migliori consigli pratici, sarò super felice di sapere quali sono i tuoi nei commenti qui sotto! 1) Il multitasking è una trappola Quando puoi: prediligi il fare una cosa alla volta. Una delle prime cose che impari quando studi la gestione del tempo è che il multitasking è da evitare il più possibile. Con multitasking si intende il fare due attività contemporaneamente. Si potrebbe intuitivamente pensare che così facendo produci di più, ma visto che non siamo computer in realtà non è così. È stato dimostrato scientificamente che fare del multitasking ti rende meno efficiente a causa del cosiddetto switching cost, ovvero il costo per saltare da un'attività all’altra. Perché il tuo cervello quando fai multitasking in realtà sta passando continuamente da un’attività all’altra, non le stai davvero eseguendo in contemporanea. Se vuoi approfondire il tema ho scritto un articolo sul tema del multitasking. Più sopra affermavo che la maggior parte degli esperti di gestione del tempo e produttività sono uomini… ...mentre si dice che le donne sono le più brave a rompere una delle regole fondamentali della gestione della produttività. 2) Il potere delle abitudini Per essere più efficiente mi è anche servito molto capire come funzionano le abitudini e sfruttare il meccanismo a mio vantaggio. Cito Duhigg da “La dittatura delle abitudini”: “Secondo gli scienziati [e le scienziate], le abitudini si formano perché il cervello è sempre alla ricerca di modi per risparmiare energia.” Quando agiamo secondo un’abitudine, il nostro cervello è in modalità risparmio energetico. L’energia che risparmiamo agendo secondo delle abitudini poi le possiamo impiegare in altre cose più importanti. Ad esempio, da appassionata di té verde quale sono, qualche anno fa avevo un cassetto pieno di té verdi e ogni mattina dovevo sceglierne uno tra mille. Ora ho preso l’abitudine di bere lo stesso tipo di té verde fino che finisco la confezione. E comunque non ho più così tanta scelta (e ordine) nel cassetto come nell'epoca pre-figlio: Inoltre, puoi sostituire cattive abitudini con buone abitudini dal punto di vista della gestione del tempo. Un esempio che mi riguarda potrebbe essere quello del telefono: mi sono imposta delle abitudini per non perdere tempo prezioso in armi di distrazione di massa come Instagram. Ad esempio decido di andare a letto ogni sera verso le 10 e non mi porto il telefono in stanza. E se mi dici che usi il telefono come sveglia io ti dico: procurati una sveglia. Lasciando il telefono in sala non mi faccio distrarre da schermi poco prima di andare a dormire e trovo solo un libro da leggere ad aspettarmi. Un’ultima categoria di abitudini che vale la pena instaurare sono quelle buone dal punto di vista della salute: come attività fisica regolare o passare il filo interdentale tutte le sere. Abitudini che mirano alla forza e salute del corpo e della mente, minimizzano il rischio di acciacchi, malattia e incidenti vari, evitando nel lungo periodo visite mediche d’urgenza e periodi di riposo forzati. 3) Minimizza le distrazioni Le distrazioni sono molte di più di quello che ti immagini. Provengono: dall’interno, quando il tuo cervello si mette a vagare dall’esterno, attraverso notifiche e interruzioni varie Ognuno deve trovare i propri modi per ovviare alle distrazioni che rubano tempo prezioso perché: improvvisamente ti ritrovi a fare qualcosa che non avevi previsto di fare anche se ripassi subito all’attività che stavi svolgendo, perdi tempo a rientrarci mentalmente Infine ci sono anche le distrazioni pericolose, come una persona che guarda il telefono mentre guida. Quelle sì che ti fan perder tempo se poi sfociano in un incidente! Ti lascio alcune tecniche che uso per ridurre le distrazioni: Dipende dal lavoro, ma credo che nella maggior parte dei casi ci si possa permettere di guardare le e-mail solo ogni qualche ora: tieni chiusa l’applicazione delle e-mail o se la devi usare, lasciala aperta ma disattiva le notifiche (il suono e il pop-up che appare) Se non puoi o vuoi disattivare le notifiche delle e-mail, disiscriviti almeno da ogni newsletter - sì, anche la mia - se non aggiunge valore ma solo casino nella tua casella di posta. Meno e-mail sono meno notifiche, meno interruzioni che ti arrivano. Se il programma e-mail che usi lo permette, programma delle regole per far finire automaticamente delle e-mail nel cestino in base all’oggetto. Dipende dal tipo di ufficio, noi abbiamo degli uffici da 1-3 persone con porta che danno su un corridoio. L’usanza è tenere la porta aperta ma io a volte la tengo chiusa per minimizzare le interruzioni da parte di colleghe e colleghi o per non sentire ciò che accade in corridoio. Se puoi, tieni il telefono fisicamente lontano, di sicuro non a portata di braccio. Qualche volta esco a fare una passeggiata breve vicino a casa e lascio di proposito il telefono a casa. Non lo porto più in stanza la sera. Metti il telefono in modalità non disturbare, lascia entrare solo le chiamate o le notifiche delle persone che davvero hanno il diritto di distrarti. Considera la possibilità di non avere un abbonamento ad internet sul telefono. Io ho trovato una perfetta via di mezzo: un internet così lento che mi permette solo di usare i messaggi di whatsapp e fare i biglietti per i mezzi pubblici. Ma non posso navigare in internet o scrollare sui social media. A casa poi ovviamente ho il wi-fi. Valuta bene l’uso che fai dei social media. Io ero senza social media (esclusi linkedin e whatsapp) dal 2014. Nel 2022 mi sono iscritta a Instagram per via di zairacconta e passo più tempo al telefono di prima, anche se cerco di farlo con cognizione di causa un po’ di tempo lo perdo. Ne hai davvero bisogno? Se la risposta è sì, considera di essere presente su meno piattaforme possibili. Disinstalla l’app dei social media, anche solo per un giorno. Io lo faccio a volte perché ho internet molto lento quando sono in giro e non posso nemmeno reinstallarla. La mia più grande distrazione resta il telefono. Ma sono l’unica che se non fa attenzione cade in tentazione col telefono o c’è chi riesce a gestirlo senza fatica? 4) La legge di Parkinson La legge di Parkinson in sostanza dice che un compito ti prende il tempo che decidi di dedicargli. Ovvio che c’è un limite, ma in larga misura lo vedo molto vero nella mia vita: se per rileggere un rapporto mi alloco un’ora, adatterò il mio modo di lavorare per metterci un’ora (velocità di lettura, dettaglio dei miei commenti, cura dell’ortografia). Se decido invece che gli voglio dedicare solo 30 minuti, farò lo stesso lavoro perdendo meno tempo in dettagli e magari anche aumentando i miei livelli di concentrazione perché so che in 30 minuti devo avere finito. Quando sono particolarmente sopraffatta dalle cose da fare, fantastico su come sarebbe tornare ad avere una vita senza figlio. Poi mi ricordo della legge di Parkinson e penso che non è detto che sarei tanto più produttiva. Mi spiego: se non avessi un figlio, per uscire di casa impiegherei un’ora tra colazione, trucco e parrucco. Ora esco di casa in 30 minuti se faccio colazione, altrimenti 15 minuti per le cose base mi bastano. Il risultato è simile ma impiego la metà del tempo. Se non avessi un figlio il weekend non starei a casa a fare tutte quelle cose per cui oggi ho poco tempo, ma andrei in montagna. Senza figlio sarei più riposata e avrei più tempo libero ma non è detto che produrrei molto di più. Lo vedo quando sono in albergo la sera quando viaggio per lavoro: ho tutta la sera per me, diciamo 4 ore, dalle 18:00 alle 22:00. Pensi che io sia lì a produrre in quelle ore? So di avere tutto quel tempo, mi rilasso e lascio che la legge di Parkinson prenda il sopravvento e impiego un’ora a fare la doccia. Sapere questa cosa è utile perché puoi sfruttarla a tuo favore. Esempio: se so che il mio termine ultimo per impacchettare le mie cose e lasciare l’ufficio sono le 17:00, faccio apposta a mettere una riunione che voglio liquidare in 30 minuti alle 16:30. In questo modo sono obbligata a mantenere il filo e il ritmo del discorso. 5) La tecnica pomodoro Ogni tanto uso la tecnica del pomodoro, inventata da Francesco Cirillo. La tecnica pomodoro consiste nel darti uno slot di tempo per lavorare ad una sola cosa senza distrazioni. Funziona così: Imposti il timer 25 minuti Lavori solo sulla tua cosa 25 minuti (non prendi in mano il telefono, non controlli le e-mail, non rispondi a chiamate, …) Allo scoccare del timer imposti un altro timer di 5 minuti dove idealmente fai qualcosa che ti liberi la mente (scendere a prendere la posta o vuotare la lavastoviglie se sei a casa, prepararti un tè, andare in bagno, …). Io ammetto che qui da quando ho Instagram purtroppo ho la tentazione di andare a guardare un attimo che succede lì e ti dico che è la cosa peggiore che potrei fare. Allo scadere della pausa, reimposti il timer di 25 minuti per continuare a lavorare sulla tua cosa. Solitamente si consigliano 3-4 pomodori intervallati da 5 minuti, alla fine dei quali ti puoi prendere una pausa di 15-30 minuti. Ah! Se te lo stessi chiedendo: il nome della tecnica viene da quei timer da cucina a forma di pomodoro. Io applico la tecnica del pomodoro principalmente in due casi: 1. Ho del lavoro da fare che non ho voglia di fare Io so che quando ho del lavoro da fare che non mi piace lo procrastino. Trovo di tutto da fare pur di non fare quella cosa lì. Allora combino la tecnica del pomodoro con quella dell’”ingoiare la rana come prima cosa al mattino”, ideata da Mark Twain. Mi dico: stamattina devo scrivere almeno 2 capitoli di questo rapporto. Setto il timer e mi ci fiondo. Spesso, una volta iniziato, il disgusto che provo per quell’attività sparisce. Ovviamente se hai un lavoro che ti forza troppo spesso ad abusare di questa tecnica due domande me le farei. 2. Ho tanto lavoro da fare Quando ho tanto da fare e voglio minimizzare le distrazioni uso la tecnica del pomodoro. Lo faccio anche per ricordarmi di fare una pausa ogni 25 minuti perché altrimenti rischio di esaurirmi. 6) Crea dei margini Creare dei margini è importante per non sentirsi in sopraffazione ancora prima di cominciare la giornata. Sembra banale ma ci vuole consapevolezza per crearsi dei margini così da non trascorrere la giornata a correre da un appuntamento all’altro con l’idea di essere sempre in ritardo. Al lavoro implemento questa cosa lasciandomi sempre un quarto d’ora tra una riunione e l’altra. Bada bene, non finisco per avere 15 minuti di libero tra un impegno e l’altro ma quei cuscinetti mi servono per rispondere all’e-mail importante, fare una piccola pausa, spostarmi da A a B, risolvere problemi tecnici. Da quando sono mamma cerco di avere margini di tempo anche nella mia vita privata. Passati i primi mesi in modalità sopravvivenza, dove l’obbiettivo era arrivare tutti vivi a sera, ho iniziato a settarmi quell’una cosa che era il mio obbiettivo della giornata. Una sorta di metodo MIT applicato alla vita di neo-genitrice. Dove MIT sta per Most Important Task, ovvero la cosa più importante, quella che ha più impatto, più priorità. Ad esempio, se un giorno c’era un appuntamento dal pediatra, per quel giorno non mettevo altri appuntamenti o aspettative. Magari oltre che andare dal pediatra riuscivo anche a fare una piccola spesa e a fermarmi in biblioteca, ma non mi mettevo pressione. Lo facevo anche per avere margine in caso di imprevisti e per andare al passo del mio bambino. Parlo al passato perché ora che il bimbo ha 3 anni mi posso permettere di mettere un paio di obbiettivi in più per la giornata ma comunque non più di 2 massimo 3 grandi obiettivi, il resto è in più. 7) Fai spazio per il tempo libero Devo ammettere che sono rimasta sorpresa dal numero di persone che mi hanno scritto a seguito del mio articolo sul carico mentale, che è anche diventato un episodio del podcast “Educare con calma” di Carlotta Cerri. Sono rimasta stupita dalle persone che mi chiedevano quali fossero i miei metodi per organizzarmi al punto da avere un lavoro di responsabilità lavorando a tempo parziale. Queste tecniche mi servono sì a prendermi responsabilità lavorando a tempo parziale o a portare avanti progetti personali a cui tengo. Non dimentico però che sono una persona e non una macchina, per cui anche il riposo è necessario se voglio produrre anche sul lungo periodo. Se si lavora sempre al massimo delle nostre capacità corriamo il rischio di bruciarci. Anche se sei un genitore con l’agenda che scoppia, ricalibra le tue priorità, semplifica la tua vita e fai spazio per del tempo libero. E facendolo, ricordati dei ruoli di genere in cui spesso ricadiamo se non ci facciamo attenzione: le donne, in genere, hanno meno tempo libero rispetto agli uomini. Inoltre gli uomini tendenzialmente prediligono lavori che si avvicinano al tempo libero come il giardinaggio o il fai da te. Sono due elementi importanti da tenere a mente, evidenziati per esempio da un rapporto dell’Istat del 2019 [1]. Riflessioni finali Hai notato quanti nomi di uomini in questo articolo? La gestione del tempo è un settore ancora molto maschile. Gli uomini che parlano di queste tecniche hanno una visione del mondo parziale e spesso privilegiata. Affermare che il tempo è la risorsa più democratica che ci sia, è ingiusto. Anche se tutte le persone hanno 24 ore, non tutte le persone hanno la stessa quantità di tempo a disposizione. Calibra le tue aspettative alla tua situazione. Impegnati ma ricordati che sei una persona e non una macchina. Non dimenticarti che il fine non è produrre ma stare bene, essere in salute. Quella per me è la priorità numero uno. Se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] I tempi della vita quotidiana. Lavoro, conciliazione, parità di genere e benessere soggettivo. ⇧

  • Le bimbe sono le principesse dei papà e i bimbi gli eroi delle mamme?

    Ti presento 6 punti critici di questa credenza per allenare il tuo spirito critico. “Si dice sempre che le bambine sono le principesse di papà ed i bambini gli eroi della mamma” L’altro giorno ho letto questa frase sotto ad un post su Instagram. Il mio cervello si aspettava di leggere poco sotto perché quella frase andrebbe evitata. Ho trovato solo degli hashtag: #love#cute#fashion#beautiful#disney#babygirl#family#newborn#babyphotography#mommyandkids#happy#photooftheday#instagood#friends#instalike#girl#nature#selfie#smile#kids#baby#food#fun#igers#life#picoftheday#repost#photography#instagram Ups, che ingenua. La didascalia finiva lì. Questa foto ha ricevuto 2500 like e 80 commenti, 1 solo a contraddire il messaggio di fondo. Questo articolo non ti spiegherà come impedire a tua figlia di amare le principesse. Ma ti farà ragionare su un modo di dire e di pensare che rafforza la disparità tra i generi. Perché lo spirito critico è una delle qualità fondamentali per educare alla parità di genere. Cosa trovi in questo articolo Cos’è il doppio standard e cosa c’entra Le parole contano Si dice sempre che le bambine sono le principesse dei papà e i bimbi gli eroi delle mamma: 6 punti critici E se mia figlia ama le principesse? Riflessioni finali Cos’è il doppio standard e cosa c’entra Una premessa prima di analizzare la frase incriminata. Mi chiedevo: ma la stessa foto con una mamma e una bimba o un bimbo addormentato sulle sue gambe, avrebbe suscitato la stessa acclamazione? Io penso di no. Il motivo è la meraviglia che ancora suscita l’immagine di un papà che fa il papà. Il famoso doppio standard. Non pensi? Secondo me l’ipotetica mamma sotto la foto si sarebbe beccata anche un sacco di consigli non richiesti: Ma come, la fai addormentare davanti alla tele? Non dovresti guardare la tele mentre la tua bambina dorme, dovresti fare… Guarda che quella posizione non è ergonomica! Avere una reazione diversa di fronte ad una situazione simile vissuta da due persone diverse è un doppio standard. Una mamma e un papà che fanno la stessa cosa ma vengono giudicati in maniera diversa. La prima incontrerà anche indifferenza o critica, il secondo perlopiù lodi e conferme. Le parole contano Le parole hanno un peso che spesso viene sottovalutato. La maniera in cui ci esprimiamo può modellare empatia, rispetto, spirito critico. Usare i femminili professionali aiuta a diminuire la segregazione formativa. I modi di dire e i proverbi rafforzano stereotipi e pregiudizi e sono la cartina di tornasole della nostra cultura, come dice bene Vera Gheno in Femminili singolari: “Come è noto, i proverbi e i modi di dire non nascono dal nulla, ma rappresentano una sorta di ‘precipitato’, di sedimentazione della saggezza popolare. Spesso sono così interiorizzati nella nostra cultura che non facciamo davvero caso a quanto enunciano” Queste credenze popolari sono del tutto insensate eppure continuiamo a sentirle. Io, sbagliando, sono rimasta allibita e non sono riuscita a controbattere. La prossima volta mi piacerebbe dire qualcosa come: “il comportamento di mio figlio non c’entra nulla con il colore dei suoi capelli” Mannaggia a me di non essere riuscita a rispondere sul momento 🤦‍♀️ Si dice sempre che le bambine sono le principesse dei papà e i bimbi gli eroi delle mamma: 6 punti critici 1. Il binarismo di genere Sono stufa di questa divisione in schiere tra figli maschi e figlie femmine, eroi e principesse, mamme e papà. Tutti i sostantivi di questa frase entrano in un binario: tre di qua e tre di là. Maschio e femmina sono etichette a cui dovremmo dare meno peso. Concentriamoci sul fatto che siamo persone. Lo so che pensare che uomini e donne vengono da due pianeti diversi sembra divertente. Ma pensarlo è davvero limitante, azzera la costruttività a suon di “siam fattə così” [1]. O, per dirla con le parole della psicologa sociale Pacilli: “I discorsi attorno alle differenze fra uomini e donne […] ci attraggono e ci affascinano, li facciamo nostri senza porci troppe domande in quanto semplificano e rassicurano” 2. Cosa vuol dire essere una principessa? Se hai una figlia che ama vestirsi da principessa, tutta rosa e a balze: non preoccuparti. È vero che anche nei media per l’infanzia troviamo sempre più principesse intraprendenti. Ma gli stereotipi sono duri a morire e la rappresentazione libera da stereotipi ancora di più. Potresti però verificare cosa intende la tua bambina con il termine “principessa”. Credo che i valori che il termine “principessa” si porta dietro da molti anni non siano ancora del tutto sradicati. Una principessa rimane strettamente legata a queste tre caratteristiche: bellezza eleganza gentilezza Sulla gentilezza non ho nulla da ridire, se non che vorrei che fosse un’etichetta sempre più associata anche al genere maschile. Sulla bellezza ed eleganza dovremmo fare un discorso a parte. Una bambina appassionata di principesse potrebbe pensare che essere belle e eleganti sia la cosa più importante. Il che può essere già un problema, ma lo è ancora di più se per esempio la bambina, ragazza, donna non ha la fortuna di avere un corpo conforme agli standard di bellezza correnti. La pressione estetica incombe soprattutto sulle donne, a partire dall’infanzia. Non è un caso se i disturbi del comportamento alimentare o gli interventi di chirurgia estetica riguardano soprattutto le donne. 3. Cosa vuol dire essere un eroe? A “principessa” si contrappone il termine “eroe”. Che, come raccontavo in questo già citato articolo sulle etichette, si porta dietro tutt’altro tipo di valori: forza coraggio bellezza Forza e coraggio sono sicuramente dei valori condivisibili. Quello che mi spiace è che queste qualità siano viste come tipiche di un solo genere. Inoltre, si tende a sottovalutare la pressione di doversi mostrare forti e coraggiosi sempre e comunque. Questa mentalità che tramandiamo alle nuove generazioni ha delle ripercussioni non da poco. Un semplice esempio è quello per cui gli uomini hanno la tendenza a chiedere meno aiuto, anche quando si tratta di andare dal medico per la propria salute. Ne parlava la sociologa Kyl Myers in questo suo discorso. Anche gli uomini sono sempre più sottoposti alla pressione estetica, vedi il termine “bello” che appare parecchie volte in relazione con il termine “eroe”. La pressione è comunque minore e spesso di un altro tipo: la mascolinità correla con il volume dei muscoli. 4. Quella tra uomini e donne è una relazione gerarchica La sociologa Kyl Myers in questo suo discorso dice una cosa molto vera: Il binario maschile e quello femminile non sono complementari. Piuttosto, sono gerarchici con uomini e bambini che vengono valorizzati e hanno più potere di bambine e donne. Quello che trovo assurdo nella frase che stiamo analizzando, è che addirittura la mamma è gerarchicamente inferiore al figlio. Siamo d’accordo che la relazione genitori-figli è una relazione di potere. Un potere che si può decidere di esercitare in diversi modi, ma pur sempre di potere si tratta. Affermare che il figlio è l’eroe della mamma sovverte i ruoli di potere e mette il genere maschile sopra a quello femminile. 5. Mancanza di spirito critico dichiarato Sono allergica ai “si dice sempre” pericolosamente simili ai “si è sempre fatto così” o ai “siam fattə così” di cui sopra. Ci sono dei proverbi e modi di dire che sono molto saggi, ma tanti, che è meglio abbandonare subito. Quando senti o leggi “si dice” prova a porti una semplice domanda: “Chi lo dice?” 6. Il complesso di Edipo Disclaimer grande come una casa: non sono del campo, non sono un’educatrice d’infanzia, non sono una psicologa. Sono un ingegnera meccanica. Quello che mi piace fare è mettere in dubbio lo status quo, basandomi sui miei ragionamenti e quello che leggo in fonti che ritengo plausibili. Se ne sai più di me e noti che scrivo cose sbagliate non esitare a scrivermi. Mi sorprende che spesso sia dato per scontato che i bimbi sono dei mammoni e le bimbe le cocche di papà. Secondo me questo è un lascito delle teorie di Freud e del cosiddetto complesso di Edipo. Riassumo: il complesso di Edipo è quell’idea per cui durante una certa fase dello sviluppo un figlio sarebbe più legato/attratto alla mamma e proverebbe astio nei confronti del papà. La stessa cosa per le figlie femmine è legata al complesso di Elettra. La cosa particolare è che in diversi siti che ho visitato si parla del complesso di Edipo come se fosse un dato di fatto. Senza nominare che questa idea ha davvero poche evidenze scientifiche. Quindi spesso finiamo per modellare le nostre relazioni su una teoria molto criticata e poco confermata. Per me il punto più critico [2] del dare per scontato il complesso di Edipo è quello della profezia che si auto-avvera. A furia di credere e ripetere che un figlio è più legato alla mamma e non al papà, convincerà tutti di questa cosa. Non ci sono magari altre ragioni oltre che il sesso bigologico? Magari il numero di ore trascorse dal bimbo con la mamma vs. le ore trascorse col papà? Carattere? Pensare che una cosa è “così per natura” è molto pericoloso perché poi si tende a pensare di non poterci fare niente. Un bambino è “mammone”? Risposta: “Eh, oramai è così… che ci vuoi fare”. Invece che lasciare che anche il papà abbia lo spazio di costruire una relazione con suo figlio. Io mi sento di lasciare da parte questa credenza e pensare che il mio bambino possa essere più o meno attaccato a me e a mio marito in base a delle ragioni che prescindono dal nostro sesso biologico. E se mia figlia ama le principesse? La libertà di tua figlia di essere e amare chi e cosa vuole deve venir rispettato. L’unico problemino, di cui ho scritto più approfonditamente in questo articolo, è: tua figlia sembra aver avuto la libertà di amare le principesse. Ok, ora le ama per davvero. Ma chi può dire se avrebbe amato i dinosauri, qualora la nostra società vedesse questi animali come “da bimbe” e dunque femminilizzanti? È un po’ come se ti portassero da mangiare sempre una crema di zucca e una di cavolfiore. Tu scegli quasi sempre quella di zucca e dici di amare la crema di zucca. Ma se sapessi che puoi anche mangiare altro, tipo pasta al ragù di lenticchie o sedano rapa impanato? Le bambine e i bambini hanno la libertà di scegliere tra le opzioni che gli diamo come società. Capisci? Per questo faccio notare il binarismo di genere e la poca fantasia che si trovano nell’industria per l'infanzia: o blu o rosa, o dinosauri o unicorni, o macchinine o bambole. Quindi, nel caso di una bambina-principessa quello che farei è: Informarsi, sempre e comunque. Ad esempio, sapere che ci sono studi che dimostrano che la passione per le principesse Disney può essere limitante specialmente per le bambine, che hanno una più alta probabilità di abbracciare stereotipi femminili tradizionali [3]. Provare ad ampliare il panorama della bambina e le sue opzioni. Casa troviamo oltre alle principesse? Sempre nel rispetto per le sue inclinazioni e passioni. Fornire rappresentazioni di principesse con altri valori oltre a quello della bellezza e dell’eleganza nei libri, nei cartoni animati, nei giochi. Portare esempi di principesse attive e non passive. Riflessioni finali Spesso non pensiamo al vero significato dietro ad alcune espressioni e modi di dire. Notarlo è il primo passo. Metterli in dubbio il secondo. Poi si prosegue sradicando l’espressione un pezzettino alla volta. Se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] Non capita spesso che nei miei articoli debba usare la lettera schwa “ə”, che si pronuncia tra una “a” e una “e”. Similmente alle altre soluzioni creative come l’asterisco, la chiocciolina o il 3, è un simbolo che va a togliere il genere da una parola, così che tutte le persone si possano sentire toccate dal mio discorso. Mi impegno ad utilizzare un linguaggio il più ampio possibile senza dover ricorrere a questo trucchetto. Non credo che ci avrai fatto caso, ma i miei articoli sono scritti in maniera che sia un uomo che una donna si possano sentire interpellati, nella maggior parte dei casi anche una persona non binaria. ⇧ [2] Ci sono poi diversi altri punti criticati delle teorie di Freud, come quello di dare per scontato che l’unico orientamento sessuale “normale” sia quello eterosessuale. Oppure il fatto che si tratta di una teoria che vede nella presenza di un padre e di una madre nei ruoli tradizionali il presupposto per uno sviluppo regolare dei figli. ⇧ [3] Sarah M. Coyne et al., Pretty as a Princess: Longitudinal Effects of Engagement With Disney Princesses on Gender Stereotypes, Body Esteem, and Prosocial Behavior in Children, Child Development, November/December 2016, Volume 87, Number 6, Pages 1909–1925 ⇧

  • Critiche nella coppia: come affrontarle?

    Ti svelo 5 buoni motivi per ridurre le critiche nella coppia e 3 strategie per criticare meno e meglio. “Devo sempre dirti cosa c’è da fare” “Non ti rilassi mai” “Smettila di paragonare i bimbi” Suonano famigliari? Quali sono le critiche che rivolgi più spesso alla persona con cui stai? E quelle che ti vengono rivolte? Con questo articolo ragiono sul perché critichiamo, come mai dovremmo ridurre le critiche al minimo e come fare. Come criticare meno e meglio fa bene anche alla causa della parità: Per raggiungere la parità, in casa e nella società, è necessario fare squadra. La critica continua non aiuta a remare verso questo obiettivo. Per educare i nostri bimbi alla parità dobbiamo modellare rispetto e empatia. Criticare continuamente non è esattamente una forma di rispetto ed empatia. Le critiche possono essere degli indizi riguardo a ruoli di genere, che magari ci vanno stretti. Analizzando le nostre critiche vedremo le nostre fatiche. Vedremo il carico mentale familiare. Un carico pesante, invisibile e non retribuito portato soprattutto dalle donne. Cosa trovi in questo articolo: Per raggiungere la parità di genere dobbiamo fare squadra Perché critichiamo l’altra componente della coppia Il privilegio del nostro modello famigliare Quando una componente della coppia lavora fuori casa e l’altra no 4 motivi per cui dovremmo criticare meno e meglio nella coppia 3 modi per criticare meno e meglio Riflessioni finali Per raggiungere la parità di genere dobbiamo fare squadra Parità di genere non significa che uomini e donne devono essere uguali, ma che devono avere pari diritti e opportunità. Al giorno d’oggi questa parità non c’è ancora. Pensa solo alla carriera lavorativa: a che genere appartiene solitamente la persona che mette da parte la carriera una volta diventata genitore? Esatto: solitamente si tratta della donna. Per raggiungere la parità sono chiaramente necessarie delle misure concrete, a partire dalle quote dei congedi parentali riservate ai papà, come succede in Norvegia o in Finlandia. O carriere pensate per essere svolte part-time per esempio seguendo il concetto di top-sharing [1]. Ma cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo a partire da oggi? La parità di genere si può anche porre come obiettivo in casa. Dove parità non significa per forza io lavoro fuori casa 34.5 ore e tu pure. No. Parità significa che se lo volessimo, entrambi potremmo: lavorare e perseguire le nostre carriere conciliare vita lavorativa e privata continuare a mantenere le nostre amicizie o hobby prenderci del tempo esclusivo per noi fare sport ... Chiaro, non dobbiamo dimenticare i privilegi che alcune famiglie hanno su altre. Per certe famiglie non c’è scelta ed entrambi i genitori devono lavorare fuori casa al 100%. Altre si vedono obbligate a far sì che un genitore, solitamente la mamma, stia a casa perché il nido costa troppo. L'obiettivo è il massimo del benessere di ogni componente della famiglia, al netto delle condizioni al contorno e dei valori. Per fare ciò dobbiamo riuscire a fare squadra. Vederci come un team a me serve molto per superare le fatiche e qualche volta anche la voglia di gettare le mie frustrazioni addosso a mio marito. Uno dei segnali più evidenti di malessere nella nostra coppia è quando comincio a entrare in un loop di critiche. In quel momento mi rendo conto che c’è qualcosa che non va e cerco di correggere il tiro. Perché critichiamo l’altra componente della coppia Hai in mente la fase dell'innamoramento in cui vedi tutto bello e fantastico e perfetto? Ecco. È un periodo di durata determinata in cui il tuo cervello è inondato di ormoni di amore e felicità e vedi solo il bello nel mondo e soprattutto nella persona al tuo fianco. Dopo un po’, questo effetto sparisce e vediamo le cose come stanno: due persone con pregi e difetti che convivono sotto lo stesso tetto, magari con prole da accudire e un lavoro da mandare avanti. A volte siamo così sopraffatti dalla vita quotidiana o frustrati da una nostra situazione che entriamo in una spirale negativa. Spesso sfoghiamo le nostre frustrazioni proprio sulla persona con cui abbiamo deciso di formare una famiglia. Perché? Inannzitutto per la confidenza, l’ambiente informale della famiglia e forse perché vediamo il o la partner come un essere meno vulnerabile di un bambino, in grado di incassare le nostre critiche. Personalmente critico quando: Un mio bisogno fondamentale non è soddisfatto Qualcosa a cui tengo particolarmente non viene preso altrettanto in considerazione dal mio compagno Rientrano nel primo caso cose come: non riuscire a dedicarsi ad un progetto a cui si tiene non riuscire a prendersi del tempo per sé non poter star soli se ci si sente nervosi riposarsi se si sta male fisicamente dormire bene la notte … In questo caso io non sono serena, sono nervosa e irritabile e quindi anche più esigente e propensa alla critica. Rientrano nel secondo caso cose legate ai miei valori e alle mie priorità, che non sempre coincidono con quelle di mio marito: alcuni aspetti sul modo di educare nostro figlio l’ennesimo pasto fast food e/o senza verdure la mancata areazione della casa il risparmio energetico ... Come vedi in questa seconda lista ci sono argomenti superabili ma se i valori e le priorità della coppia sono troppo diverse, nascerebbe una bella sfida. Di solito fare un check dei valori prima di decidere di metter su famiglia non si fa ma ora è quello che consiglierei di fare 😉 Non hobby o interessi comuni: più valori in comune avete meglio è! Il privilegio del nostro modello famigliare Riconosco di avere un privilegio dato dal modello familiare che ci siamo scelti e potuti permettere. Attualmente io lavoro al 70% distribuito su 4 giorni a settimana mentre mio marito al 50% distribuito su 3 giorni. I due giorni che siamo scoperti abbiamo il privilegio di avere dei nonni e a volte anche uno zio a disposizione. Per me, alcuni vantaggi di questo modello sono: l’intercalare il lavoro con il ruolo di cura entrambi i genitori che possono trascorrere del tempo esclusivo con il bimbo il bimbo non è esposto in famiglia a ruoli di genere rigidi il bambino può assorbire, volendo, modi di fare o passioni da entrambi i genitori Ma c’è un altro enorme vantaggio che non balza all’occhio subito: Passando entrambi delle giornate esclusive con il bimbo tutti e due vediamo entrambe le facce della medaglia. Faccia positiva della medaglia: l’andare lento e notare cose che non avevi mai notato prima le avventure vissute assieme le coccole con il bimbo le frasi strampalate le letture i sorrisi i giochi … Faccia negativa della medaglia: la difficoltà di tenere la casa in ordine durante la giornata trascorsa col bimbo la difficoltà di cucinare con un figlio piccino appresso la noia all’ennesima proposta di un gioco di ruolo le crisi, le strappate di capelli, i morsi l'imprevedibilità delle tempistiche le figuracce … Emmm… mi rendo conto che mi esce molto più facile trovare i lati negativi 😅 Ovvio che io ho dato i miei esempi basati sulla cura di un bimbo piccolo e la casa da mandare avanti. Ma anche se i bimbi vanno al nido o a scuola, possono essere riconosciuti dei vantaggi e degli svantaggi sia nello stare a casa che nell’andare a lavorare, giusto? Questo modello familiare può aiutare ma non è una garanzia. In una società ancora molto maschilista anche in tante coppie in cui entrambi lavorano per un numero di ore simile, la donna è quella che finisce per lavorare di più perché da lei ci si aspetta che si annulli per casa e famiglia. Nel nostro caso avere un bilanciamento simile tra ore di lavoro e cura del figlio ci ha permesso di comprendere una cosa importante: la fatica dell’altrə [2]. Non del tutto, ma una gran parte sì. Ad esempio: mio marito passando alcuni giorni a settimana col bimbo sa che non è facile tenere la casa perfetta quando si è con lui e non mi recrimina il casino quando torna a casa la sera. Io ammetto di fare un po’ più fatica a volte, perché in effetti tra i due credo di essere la genitrice che nonostante la cura del figlio cerca di portare avanti più cose utili alla vita famigliare: tipo fare una spesa o cucinare qualcosa. Anche mio marito fa la sua parte, ma mi sembra che ha un approccio più rilassato: ad esempio riesce a passare una mattina intera giocando col bimbo perdendo la cognizione del tempo e quando rientro trovo il burro ancora sul tavolo dalla colazione. Quando una componente della coppia lavora fuori casa e l’altra no Il 22% delle coppie con figli in Italia si organizza in modo che solo uno dei due genitori lavori fuori casa [3]: nel 19.2% dei casi è l’uomo, nel 2.8% dei casi la donna. In questo caso credo che la situazione abbia un altro livello di complessità. La difficoltà sta nella mancanza del privilegio descritto sopra: quello per cui entrambi i partner vivono la situazione in casa con i figli. In questo caso sbilanciato a livello di presenza in casa, si riesce meno ad empatizzare e capire le fatiche dell’altra persona. In queste coppie possono nascere più discussioni sulle fatiche di gestire casa e figli: non mi siedo dalla mattina alla sera ma non percepisci la mia fatica io lavoro tutto il giorno almeno tu sei con la bambina e lavori solo 3 h sei una persona pigra che casino che c’è in casa (pronunciato al momento del rientro) L’altra cosa che può capitare quando è perlopiù una persona a lavorare fuori casa, è che l’altra persona diventa l’esperta della casa. E cosa succede se solo una persona è esperta della casa e dei figli? Una delle due persone ha in mano la situazione e l’altra tende a fare solo ciò che gli vien detto. Un po’ come quando sei in una situazione nuova che non è ancora di tua competenza e non sai bene cosa fare e aspetti solo che te lo si dica. Addirittura magari hai paura di sbagliare o di prenderti delle responsabilità. O anzi godi di questo privilegio per cui qualcun’altro ti deve dire cosa c’è da fare. E quindi via di: devo sempre dirti cosa fare non sai dove stanno le cose hai preparato i vestiti per i bimbi senza tener conto delle attività che sono programmate a scuola sei stressante nel ripetere le cose necessarie alla gestione della casa … La persona che è principalmente in controllo di casa e famiglia può venir percepita come una persona: pesante esagerata troppo apprensiva incapace di lasciare il controllo incapace di rilassarsi e prendersi del tempo per sé Questa situazione può succedere anche se entrambe le persone lavorano un numero di ore simile fuori casa. Trovo però che nel caso in cui solo uno dei due genitori lavori fuori casa è più facile incappare in questa situazione. 4 motivi per cui dovremmo criticare meno e meglio nella coppia Non sto dicendo che devi subire ciecamente situazioni che ti vanno strette senza dire nulla. No, no. Le critiche sono segnali importanti di un qualche nostro bisogno o problema irrisolto, che bisogna ascoltare. Ma dobbiamo affrontarlo in maniera costruttiva invece che entrare in un loop di critiche e lamentele verso il compagno o la compagna. 1. Criticare in maniera costruttiva è un esempio di rispetto ed empatia Rispetto ed empatia, che come descrivevo in questo articolo, sono tra gli elementi fondamentali se si vuole educare alla parità. Sarà già capitato anche a te di sentire la prole ripetere nel vostro stesso tono alcune critiche rivolte al o alla partner? Da noi quando capita è palese perché mio figlio inizia il rimprovero con un “Amooooreeee” rivolto a mio marito, che altrimenti non chiama “amore” 😅 La critica frequente e distruttiva non è un comportamento che voglio modellare per mio figlio. Se voglio educare al rispetto e all’empatia, non posso escludere mio marito dall’equazione. Anche se a volte è dura, anche se a volte mi fa arrabbiare. Ricordo una scena di diversi anni fa che mi è sempre rimasta impressa: 2. Le critiche nella coppia sono uno dei predittori di separazione secondo lo psicologo John Gottman. Okay, non è detto che stare insieme tutta la vita debba essere l'obbiettivo di tutti i genitori, ma se lo senti tuo puoi continuare a leggere questo paragrafo. Traduco liberamente dal libro “I sette principi per far funzionare un matrimonio”[4]: ”Avrai sempre di cui lamentarti riguardo alla persona con cui vivi. Ma c’è una bella differenza tra esprimere il proprio disappunto e una critica distruttiva” Le critiche distruttive [5] sono molto comuni nelle coppie. Gottmann ci rassicura dicendo che se pensi che voi siete molto critici l’un l'altrə, non devi pensare che siete destinati alla separazione. Il problema con la critica è che se diventa molto frequente, spiana la strada per un altro elemento che è presente con più frequenza nelle coppie che finiscono per separarsi: il disprezzo. 3. La persona criticata eccessivamente diventa più insicura, l’autostima peggiora e va sulla difensiva. Si entra così in un circolo vizioso. Ti critico perché “non mi aiuti mai” e: con, l’ego ferito, non è che ti venga voglia di aiutarmi di più. se, anche solo tra le righe, ti do dell’incapace, avrai voglia di mostrare le tue debolezze, mettendoti al lavoro su ciò in cui ti senti insicurə? rispondi alla mia critica andando sulla difensiva, che in pratica significa che sposti la colpa da te a me, peggiorando la situazione. Magari rispondendo la tanto amata “bastava chiedere”. La vedi la trappola dell’andare sulla difensiva? Il problema non sei tu, che non aiuti, sono io che non ti chiedo di aiutarmi. Et voilà, escalation servita. 4. La critica continua può indicare una mentalità che tende a dare la colpa ad altri per il proprio malessere. Una mentalità che ti rende poco in controllo della tua vita perché la tua felicità dipende (troppo) da fattori esterni. Un’attitudine che non voglio per forza tramandare al mio bambino. 3 modi per criticare meno e meglio 1. Prima di criticare: chiediti qual è il reale motivo del fastidio che provi e se c’è qualcosa che puoi fare tu prima. Io mi sono evoluta negli anni su una critica che rivolgevo molto spesso a mio marito e che ora non gli rivolgo più. Sono dovuta evolvere perché all’inizio anche se non lo criticavo più, la cosa mi rodeva comunque. Ho continuato a chiedermi perché la cosa mi rodeva e alla fine ho cambiato la mia reazione invece di voler cambiare mio marito. Oltretutto si trattava di una critica non strettamente necessaria. Arrivo al dunque: In questo caso, oggettivamente, ho dovuto lasciare una mia fissa e mania del controllo e della perfezione. Altre volte spesso le mie critiche sono date da una sorta di invidia. Ad esempio: criticare mio marito perché quando è con mio figlio “fa la bella vita” uscendo tutto il giorno e mangiando cibo da asporto mentre io quando sono con mio figlio tendo di più a portare avanti le faccende e cucinare. Mi chiedo: prima di criticare, posso io magari lasciare un po’ del mio controllo e avvicinarmi un po’ al modo di fare di mio marito? Posso concedermi una giornata fuori senza pensare a tutte le cose da fare? 2. Pensa alle critiche come ai “no” con i figli: devono essere pochi ma buoni. Quello che stai per criticare è paragonabile ad un “no fuoco” o “no rispetto” che rivolgeresti a tua figlia? Un “no” che assolutamente va detto per tenerla fuori pericolo o educarla al rispetto?[6] Riprendo l’esempio delle calze di mio marito: ha senso appesantire il clima nella coppia per un paio di calze al rovescio? 3. Passa dalla modalità “critica distruttiva” alla “critica costruttiva” Se vuoi esprimere il tuo dissenso riguardo ad un comportamento del o della partner, prova ad implementare poco a poco queste regole: a. Evita di dire “mai” e “sempre” Io spesso smusso già di molto la critica sostituendo il “sempre” con il “spesso”. Sembra poco ma già mi costa un bel po’ di fatica, segno che proprio non mi viene naturale. Ad esempio invece di dire: ✘ “Non ti rilassi mai” prova con: ✔︎ “Mi sembra che spesso fai fatica a rilassarti” b. Formula la frase in maniera tale che tu sia il soggetto Anche se c’è chi dice che non sono le regole della buona comunicazione a salvare una coppia, penso che questo modo di comunicare ci aiuti un sacco. Oltretutto modello questo modo di comunicare per nostro figlio, al quale risulterà più facile seguire le regole di una comunicazione pacifica. Ad esempio invece di dire: ✘ “Non sai mai dove stanno le cose” prova con: ✔︎ “Non mi piace dover dirti dove stanno le cose” c. Concentrati sul comportamento della persona e non sulla sua identità Ad esempio invece di dire: ✘ “Sei una persona disorganizzata” prova con: ✔ “Noto che spesso dimentichi gli appuntamenti” d. Esprimi i tuoi bisogni, offri alternative o soluzioni Ad esempio invece di dire: ✘ “Non sei mai proattivə nelle faccende domestiche” prova con: ✔ “Avrei bisogno che tu mi aiutassi in casa senza che io te lo debba chiedere, che ne dici se ci distribuiamo alcuni compiti?” Riflessioni finali Quello che mi preme sottolineare è che non sto sottovalutando la tua urgenza di criticare il tuo compagno o la tua compagna. Ti invito anzi ad accogliere questa urgenza e ad interrogarti sull’origine di questa tua insofferenza. C’è qualcosa che puoi fare tu prima di criticare? La critica nasconde un tuo bisogno inespresso? Dietro ad un “non mi aiuti mai” molto spesso c’è un “ho bisogno di aiuto”. La vedi la differenza incredibile di prospettiva? Molto utile anche nel caso in cui sia tu, la persona a cui la critica è rivolta. Le critiche nella coppia sono davvero un indizio importante per notare alcune situazioni sbilanciate. Situazioni che potrebbero essere legate a ruoli di genere acquisiti per default e che magari sentiamo di non voler più interpretare. Se hai letto fin qui: UAO, grazie per il tempo che hai dedicato a leggermi. Sono curiosa di sentire la tua su questo tema ☺️ Ah, e se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] Più in alto si va nella gerarchia aziendale, meno donne ci sono. Spesso perché le donne sono quelle che una volta avuti figli riducono il loro tempo di lavoro e si ha quest’idea che in posizioni alte si debba lavorare al 130%. Sono convinta che se tutti - uomini e donne - volessero ridurre il tempo lavorativo, le soluzioni alternative si troverebbero. Una di queste è il concetto di top-sharing. Ovvero una forma di job-sharing nelle posizioni alte. Job-sharing significa che due persone condividono la stessa posizione in un'azienda, a tempo parziale. Immaginati quindi una grande azienda guidata da due persone al 60% anziché da una sola al 120%. I vantaggi sono innumerevoli, io stessa sto co-gestendo un programma (un insieme di progetti) assieme ad un collega e devo dire che mi trovo molto bene. ⇧ [2] Non capita spesso che nei miei articoli debba usare la lettera schwa “ə”, che si pronuncia tra una “a” e una “e”. Similmente alle altre soluzioni creative come l’asterisco, la chiocciolina o il 3, è un simbolo che va a togliere il genere da una parola, così che tutte le persone si possano sentire toccate dal mio discorso. Mi impegno ad utilizzare un linguaggio il più ampio possibile senza dover ricorrere a questo trucchetto. Non credo che ci avrai fatto caso, ma i miei articoli sono scritti in maniera che sia un uomo che una donna si possano sentire interpellati, nella maggior parte dei casi anche una persona non binaria. ⇧ [3] Ho preso i dati questo rapporto Istat pubblicato nel 2019. ⇧ [4] Ho tradotto liberamente anche il titolo che in realtà sarebbe: “The seven principles for making marriage work” ⇧ [5] In realtà John Gottman parla di “criticism”, che è l’espressione di disapprovazione nei confronti di qualcuno sulla base dei difetti e degli errori percepiti. Una cosa molto simile al biasimo, direi. In italiano abbiamo la parola “criticismo” ma mi sembra che non viene usata nello stesso modo. ⇧ [6] I concetti di “no fuoco”, “no sofa” e “no rispetto” li ho ripresi dal corso Educare a lungo termine di Carlotta Cerri. Li trovo illuminanti nella loro semplicità. ⇧

  • Genitorialità gender-creative: il discorso della sociologa Myers

    Ho tradotto liberamente il TEDx di Kyl Myers che riassume bene il suo pensiero. Il discorso originale lo trovi sul sito di Kyl Myers, in cui vengono anche citate tutte le fonti. Vorrei che ti sintonizzassi con lə te stessə [1] di nove anni. Ora ti faccio una domanda molto importante. “Ehi tu, novenne… Cosa vorresti fare da grande?” Ti ricordi? Si è avverato? Io a nove anni volevo essere una Spice Girl. Sarei stata la Spice con i capelli ricci a caschetto. Il piano di diventare una Spice Girl non ha funzionato e invece sono diventata una sociologa e nel corso dell’ultimo decennio ho studiato Il tema delle disparità di genere. Ce n’è un sacco. Pensa cosa succederebbe se quando ai bambini chiediamo cosa vogliono fare da grandi, ci rispondessero con le altre possibilità che li attendono: Come sarebbe se i bambini rispondessero: “Avrò un rischio più alto di prendere un cancro alla pelle” “Verrò trattato come un genitore meno competente” “Avrò un rischio più alto di venire incarcerato” Come sarebbe se le bambine rispondessero: “Potrei lottare con un disturbo alimentare” “Non avrò molti modelli di riferimento in politica” “Verrò pagata meno solo perché sono una bambina” Come sarebbe se ə bimbə [2] non conformi per genere rispondessero: “Verrò probabilmente bullizzatə dai miei pari” “Potrei venir scacciatə di casa” “Non mi sentirò al sicuro ad andare in bagno quando sono in pubblico” Queste sono realtà che dovranno affrontare i bambini, perché queste sono le realtà che affrontano gli adulti. Ho tre messaggi per te oggi: Il primo è che gli adulti fanno esperienza di disparità di genere reali e dannose. Il secondo è che queste disparità sono radicate nell’infanzia. Il terzo è che possiamo farci qualcosa. Ci sono disparità di genere in praticamente ogni aspetto della vita adulta: nelle relazioni, a casa, al lavoro, in politica, in chiesa, nella sanità, addirittura alle olimpiadi. Tutte queste disparità nascono dagli stereotipi; dall’idea che ci sia un solo modo di essere donna e un solo modo di essere uomo e che uomini e donne potrebbero anche provenire da pianeti diversi. La ragione per cui gli uomini hanno più probabilità di prendere un cancro alla pelle è perché hanno la pelle più fine delle donne, giusto? No… in gran parte è perché gli uomini sono socializzati ad avere lavori e hobby “maschili”, come l’edilizia, l'agricoltura e sport che tendono ad essere all’aria aperta, esposti al sole. Le creme, inclusa quella solare, sono pubblicizzate come un prodotto femminile e sono quindi in conflitto con gli stereotipi legati alla mascolinità. Questi stereotipi valorizzano il rischio, il pericolo e la forza piuttosto che un comportamento prudente. Sono gli stessi stereotipi che portano a tassi più bassi di utilizzo delle cinture di sicurezza e del casco tra gli uomini e a tassi più alti di lesioni e decessi dovuti a incidenti. Una volta che gli uomini hanno il cancro alla pelle, hanno anche una probabilità più alta di morirne. Una pietra miliare della mascolinità è "Non mostrare che hai paura o che stai soffrendo". Prendere un appuntamento medico mostra proprio questo. Le donne in America guadagnano circa 0.79 dollari per ogni dollaro guadagnato dagli uomini. Anche se le donne si laureano di più, ricevono salari iniziali più bassi e hanno una più bassa probabilità di negoziare per un salario più alto, e donne con figli vengono promosse meno di uomini con figli. Le donne perdono così quasi mezzo milione di dollari nel corso della loro vita. Una pietra miliare della femminilità è “Non mostrare che sei assertiva, sii grata di ciò che ti viene offerto, e stai al tuo posto”. Lavorare con una donna non deve risultare difficile. Gli stereotipi di genere non appaiono magicamente dopo il diploma di scuola superiore. La socializzazione per genere e la vigilanza dei generi [3] comincia molto prima, molto prima della fine dell’asilo. Gli stereotipi di genere si perpetuano nell’infanzia e con l’avvento della tecnologia a ultrasuoni, comincia in utero. Dalla nascita, ai bimbi vengono insegnate le norme sociali e culturali che ci si aspetta da loro in base alla loro anatomia. Ma queste norme sociali e culturali variano nel tempo e in base al luogo. I bambini sono condizionati a prendere più rischi e ad essere competitivi ed atletici. Le bambine sono condizionate a dare più importanza all’apparenza che alle ambizioni e a mettere gli altri al primo posto. Se parliamo di bambini non conformi per genere, le bambine che si allontanano dal binario sono spesso celebrate e le si dice “maschiacci”, mentre i bimbi che si allontanano dal loro binario vengono spesso umiliati e chiamati “femminucce”. Il binario maschile e quello femminile non sono complementari. Piuttosto, sono gerarchici con uomini e bambini che vengono valorizzati e hanno più potere di bambine e donne. I bambini imparano presto che ferirsi fa parte dell’essere un bambino: datti una spazzata, non piangere, sii un uomo. E metti giù quella bambola, è per le bambine, ma tra 30 anni assicurati di essere un buon padre. Poco fa dicevo che le donne nel corso della loro vita perdono circa mezzo milione di dollari… questo non include la paghetta persa durante l’infanzia e l’adolescenza. I ragazzi aiutano in casa 45 minuti per ogni ora di aiuto in casa da parte delle ragazze, eppure i ragazzi hanno il 15% di probabilità in più di essere pagati rispetto alle ragazze per il lavoro svolto. E se alle ragazze vien data la paghetta, ricevono circa 73 centesimi per ogni dollaro ricevuto dai ragazzi. Ti suona familiare? Le disparità di genere nell’infanzia crescono e diventano le disparità di genere nella vita adulta. Stiamo cercando di aggiustare un problema quando è troppo tardi. Ma come potremmo eliminare un problema ancor prima che si presenti? Prima di tutto, dobbiamo porci delle domande. Perché alle persone incinta chiediamo “sarà un bimbo o una bimba?” Perché pensiamo che bambini e bambine abbiano bisogno di cose differenti? Conoscere le fattezze dei genitali di una persona è la base per come la trattiamo? La ragione per cui i genitori devono aspettare fino alla sedicesima settimana per conoscere “cosa” arriverà, è che fino a quel momento i feti sono tutti uguali. Nell’utero, tutti iniziano allo stesso modo. Attorno alla decima settimana di gravidanza, un feto con un cromosoma sessuale Y, normalmente comincia a produrre testosterone e i suoi genitali si differenzieranno in testicoli e pene anziché in ovaie e vagina. Circa la metà dei bebè hanno cromosomi sessuali XX e sono etichettati come femmine, circa metà dei bebè hanno i cromosomi XY e sono etichettati come maschi. Altri bebè nascono con delle varianti intersessuali. I bimbi nati con tratti interrsex nascono con genitali interni e/o esterni che potrebbero essere diversi da come ci aspetteremmo. Il sesso biologico è uno spettro, non un binario. Maschi e femmine non sono un granché differenti. In realtà, c'è più variazione tra le neonate e tra i neonati che tra i bebè di sesso maschile e quelli di sesso femminile. In uno studio illuminante, i ricercatori hanno messo dei bimbi di 11 mesi su una rampa e li hanno osservati gattonare. Maschi e femmine avevano lo stesso livello di capacità motorie; ciò che hanno visto essere diversa era la valutazione delle mamme delle capacità di gattonamento dei loro bebè. Le mamme di femmine sottostimavano l’abilità delle loro figlie, mentre le madri dei maschi sovrastimavano le capacità dei loro figli. Le differenze fisiche, emotive e verbali che riscontriamo tra i bambini e le bambine sono in gran parte costruite e rafforzate attraverso gli stereotipi. Cosa succederebbe se avessimo lo stesso approccio che abbiamo nei confronti dei cromosomi sessuali con qualsiasi altro aspetto del DNA, come il colore dei capelli o degli occhi, che non sono davvero così determinanti. Non è che le persone con gli occhi verdi vengono spedite verso carriere completamente diverse rispetto alle persone con gli occhi marroni. Non ci sono mensole di vestiti diversi per persone bionde o brune. Non vengono organizzati dei reveal party per scommettere se il feto ha i lobi liberi o attaccati. E se invece di trattare bambini e bambine in maniera estremamente diversa, cercassimo di insegnare loro tratti positivi a tutto tondo come la gentilezza, il senso dell’avventura, la compassione, il pensiero critico, il tempismo comico [4]? Non è che pensiamo che le persone siano più o meno predisposte a queste qualità in base alla loro altezza. Molti di noi vogliono un mondo senza disparità di genere - ma dobbiamo essere onesti con noi stessi e notare quanto le rinforziamo. Se vogliamo la parità, dobbiamo crearla. Non molto tempo fa, qualcosa dentro di me è cambiato. Letteralmente. Ero incinta; la gravidanza e l’imminente genitorialità mi hanno fatto pensare diversamente al mondo che avevo studiato, al mondo in cui stava per entrare lə miə bambinə. Ho considerato tutte le informazioni che avevo sugli effetti negativi delle disparità di genere e ho capito che l’identità di genere dipendeva da miə figliə, non da me. Non riuscivo a digerire l’idea che miə figliə venisse messo nella scatola delle bambine o dei bambini e spedito per una strada che sapevo poteva risultare vincolante. Mi dicevo: “non sarebbe fantastico se potessimo togliere i nostri bambini dagli stereotipi di genere?”. Più ci pensavo, più quella fantasia diventava una possibilità e poi quella possibilità è diventata realtà. Ora sono la mamma orgogliosa e innamorata di Zoomer Coyote. Mio marito ed io abbiamo deciso di crescere Zoomer gender creative [5]. Non abbiamo assegnato un genere a Zoomer, non riveliamo il suo sesso a meno che non sia necessario e per riferirci a ləi usiamo i pronomi neutri [6]. Come tutti i bebè, Zoomer ha bisogno di nutrimento, di dormire, di vestiti, di amore, attenzione e di un sacco di pannolini! Stiamo dando a Zoomer la libertà e l’incoraggiamento ad esplorare i suoi interessi e alla fine di auto-identificarsi come una bambina o un bambino, o ogni altra etichetta che glə si addica. Confidiamo nel fatto che Zoomer saprà chi è. Esattamente come ogni persona in questa sala ora sa chi è. Nel frattempo, Zoomer non subisce l’attacco degli stereotipi, delle aspettative sociali o restrizioni in base alla sua anatomia. Zoomer non è trattatə come un bambino o una bambina, è trattatə come un bambinə. Unə bambinə che merita di non sentire mai parole come “questo non è per bambini” o “questo non è per bambine”. A Zoomer viene insegnato che tutto è per tutti. Ci sono poche regole ferree riguardo al mondo in cui viviamo. I bambini sono creature accoglienti, curiose, che si fidano di noi per rispondere alle loro domande. Capisci… possiamo dire ai bimbi qualsiasi cosa e loro probabilmente ci crederanno. Il che significa che possiamo insegnargli il mondo che desideriamo per loro. Le disparità di genere non possono esistere se non vengono tramandate. Quindi, la prossima volta che ti approcci a una bambina, rinuncia al complimento riguardo al suo aspetto. Invece, chiedile qual è stato l’ultimo libro che ha letto, o chiedile qual è il suo pianeta preferito; permettile di correre dei rischi e di sbucciarsi le ginocchia. La prossima volta che interagisci con un bambino, accogli le sue paure, dagli l’opportunità di condividere le sue emozioni e coinvolgilo in attività di cura. Mostragli modelli di riferimento femminili; chiedigli se vorrebbe anche lui pitturarsi le unghie. Possiamo creare un mondo in cui l’individualità sia più importante del conformismo e in cui tutti crescano per essere alla pari. Grazie. ​ [1] Non capita spesso che nei miei articoli debba usare la lettera schwa “ə”, che si pronuncia tra una “a” e una “e”. Io mi impegno ad utilizzare un linguaggio il più ampio possibile senza dover ricorrere a questo trucchetto. Non credo che ci avrai fatto caso, ma i miei articoli sono scritti in maniera che sia un uomo che una donna si possano sentire interpellati, nella maggior parte dei casi anche una persona non binaria. Uno dei pochi casi dove non riesco a fare a meno della schwa è proprio quando devo dire “te stesso*, o “te stessa” appunto. Spesso rinuncio al “stesso”, dicendo per esempio “devi riflettere su di te* anziché” devi riflettere su “te stesso”. In questo caso non ho potuto farne a meno. ⇧ [2] gender non-conforming kids sono ə bambinə che o si identificano con il genere diverso da quello assegnato alla nascita o che non si identificano con un genere in particolare, per esempio le persone trangender o non binarie. ⇧ [3] Gender policy, che ho tradotto con vigilanza dei generi, sono tutte quelle azioni che mirano a controllare e/o correggere un comportamento di una persona in base al suo genere. Un esempio potrebbe essere “ma tu non puoi giocare con le bambole, sei un maschietto”. ⇧ [4] Si sta facendo riferimento al fatto che i comici sono per la maggior parte uomini. Come ogni settore segregato per genere, questo fatto può portare alla falsa credenza che le donne non siano portate per questo genere di cose. ⇧ [5] Da che io so, non esiste un’espressione simile in italiano se non “non conforme al genere”, che però non amo perché implica che ci sia una norma a cui dover confomarsi. Quello che si intende, è un bambino che vive fuori dalle scatole di genere. ⇧ [6] In lingua inglese esistono e sono they, them e their. ⇧ ​ ​ ​ ​ ​ ​

  • Quali sono le tre qualità necessarie per educare alla parità?

    In questo articolo ti svelo 10 esercizi pratici per coltivare il rispetto, l’empatia e uno spirito critico nei bambini. Immaginati questa scena: tua figlia al parco picchia un bimbo e lo fa piangere. Cosa faresti? Te lo immaginavi che per educarla al rispetto e all’empatia in quella situazione sarebbe meglio non sgridarla? Rispetto, empatia e spirito critico sono le tre componenti chiave per educare la tua famiglia alla parità di diritti e opportunità di tutte le persone. Per crescere persone libere da stereotipi e pregiudizi. La capacità di concentrarsi su poche cose importanti è la via per il successo. Per ognuna di queste qualità, ho voluto darti 3-4 esercizi che puoi mettere in pratica già da oggi. Cosa trovi in questo articolo: Per educare alla parità parti da te Viviamo in un mondo di relazioni Rispetto Che cos’è il rispetto Comincia a rispettarti 3 pratiche per sviluppare il rispetto Empatia Che cos’è l’empatia Sospendere il giudizio 3 pratiche per sviluppare l’empatia Spirito critico Che cos’è lo spirito critico 4 pratiche per sviluppare uno spirito critico Se vuoi saperne di più Riflessioni finali Per educare alla parità parti da te Per educare alla parità, puoi anche non concentrarti sulla tua bambina. Non sto dicendo che devi trascurala, eh! Sto dicendo che non devi preoccuparti di educare tua figlia alla parità. Devi preoccuparti di educare te stessə [1]: sradicare i tuoi stereotipi e pregiudizi. Mettere in dubbio il tuo status quo. Credimi, è già tanto se riesci a non passarle i tuoi stereotipi e pregiudizi. Secondo me sapere che puoi concentrarti su di te può aiutarti: per certi versi è più semplice dover insegnare qualcosa a se stessi che ad altre persone. Se pensi a te, non devi leggere un articolo, tradurlo in parole semplici o adattarlo alla vostra situazione, passare il messaggio alla tua bambina che forse lo assorbirà o forse no. Invece, leggi l’articolo e metti in pratica quello che hai letto, per te. Quindi evolvi tu e poi per osmosi tutto il resto evolverà attorno a te. Magari anche le persone. Penso a mia mamma, che fino a qualche anno fa non capiva perché facessi tante storie per chiamarmi “ingegnera” e ora usa la schwa [1]. O a mio figlio che quando uso il maschile sovraesteso “i bambini” mi corregge e dice “...o le bambine” 😉 Viviamo in un mondo di relazioni Tutti questi discorsi non sarebbero necessari se fossi l’unico essere umano sulla Terra. E invece il nostro è un mondo di relazioni. La coppia, la famiglia, la società. Tutti questi discorsi non sarebbero necessari se non fosse che alcuni esseri umani pensano di essere migliori di altri sulla base di: colore o forma del corpo, orientamento sessuale, sesso biologico, una disabilità, … Se razionalmente riusciamo a comprendere che tutte le persone sono valide, che ognuna ha il diritto di autodeterminarsi, spesso nella pratica facciamo fatica. Ci vien difficile abbracciare il diverso, comprendere l’altra, essere in disaccordo. Ma allora, qual è la prima caratteristica a cui educarti per educare tua figlia? Rispetto Tu parti dal principio che ogni persona, a prescindere, merita rispetto. Che cos’è il rispetto La definizione più corta che ho trovato [2] e che rispecchia il messaggio che voglio passare è: Il rispetto è il riconoscimento dei diritti di qualcuno o di qualcosa Che diritti? Beh, se parliamo di una persona, allora parlo del diritto di: essere trattata con dignità non venir discriminata, ovvero trattata diversamente, in base a forma, colore e abilità del corpo, religione, identità di genere, orientamento sessuale, paese di origine, … esprimere le proprie idee anche se diverse dalle tue apparire al mondo come preferisce … Comincia con il rispettarti Sembra assurdo ma io ti consiglio di cominciare a rispettare te stessə [1] . Spesso come genitori abbiamo la tendenza a sacrificarci per i figli. Certo, i bimbi sono delle creature con più bisogni di noi persone adulte. Quindi ci sta, tanto più che sono piccoli, avere un riguardo particolare per loro. Ma. Ci sono dei limiti. Ad un certo punto il genitore deve essere in grado di mettere i suoi bisogni prima di quelli dei figli. Ne parlavo in questo articolo sul carico mentale. Aver riguardo di sé è indispensabile anche per essere il genitore rispettoso che vuoi essere. Pensiamo che sacrificarci per loro sia un modo di dimostrargli il nostro amore. Non sono d’accordo. Un amore più sostenibile è mostrargli che per essere delle belle persone bisogna ascoltare anche i propri bisogni. Ti faccio un esempio. Mettere sempre i tuoi figli davanti ai tuoi bisogni è davvero controproducente sul lungo periodo. 3 pratiche per sviluppare il rispetto Ti elenco tre pratiche per educare al rispetto. In questo caso sono pratiche che consiglio proprio a te, genitore. Mi dirai: ma io voglio una pratica per educare mio figlio! Educare con l’esempio è la cosa più sensata da fare. Ho notato che dopo se stessi, spesso è proprio verso i figli che i genitori mancano di rispetto. È buffo, per questione di decoro, facciamo più fatica a mancare di rispetto agli altri faccia a faccia. Non è un caso che da dentro una macchina o da dietro uno schermo il rispetto per gli altri cala drasticamente. Ma con i figli è diverso. Un po’ perché abbiamo confidenza e un po’ perché pensiamo che tanto sono piccoli e non capiscono. Non pensi? Sempre più genitori hanno capito che usare violenza fisica o psicologica sui figli non va bene. Sempre più mamme e papà hanno lasciato pratiche come la punizione o il ricatto. Ma ci sono ancora un paio di modi di fare irrispettosi che resistono nel tempo. Niente bugie Come genitori spesso per facilitare una vita oggettivamente complessa ricorriamo a dei trucchetti. Se non fai il bravo arriva [riempi con la figura che più si addice al vostro caso: lupo, polizia, …] Se non ti comporti come si deve, non riceverai regali a Natale Dai, se continui a camminare nel bosco forse vediamo un [riempi con la figura che si addice di più al vostro caso: orso, gnomo, …] Se non ti lavi i denti non ti comprerò mai più un gelato! Questa sono io una volta che ero esasperata da un 30 minuti di convincimento di lavaggio denti. È un ricatto ed è falso, perché è ovvio che gli comprerò ancora gelati nella sua vita. Hai altri esempi? 😅 Mentire è una mancanza di rispetto. Manipolare il comportamento di un bambino con delle bugie è mancanza di rispetto. Non sono nemmeno sicura che si possano chiamare “bugie bianche”. Perché evidentemente abbiamo un vantaggio se le diciamo. Ma anche le bugie bianche per far star meglio un bambino nel corto termine, per proteggerlo da grandi delusioni, non lo aiutano. Vedere un bambino soffrire può essere doloroso per un genitore. Aiutandolo ad affrontare questi sentimenti così forti, gli darai gli strumenti per affrontare la vita a testa alta. Accogli le sue emozioni Se tuo figlio cade e si mette a piangere, invece di dire “va tutto bene” o, peggio, “tu sei forte, i maschi non piangono” prova a dire “mi dispiace, deve farti un gran male”. Se tua figlia si arrabbia e urla invece di dire cose come “non fare l’isterica [3], calmati” prova a dire “vedo che sei molto arrabbiata, posso aiutarti?” Non interrompere tuo figlio quando parla Quando i bimbi ci parlano spesso abbiamo la tendenza ad interromperli. Perché… … andiamo di fretta … capiamo dove vogliono arrivare … sono lenti nel formulare i loro pensieri … Ecco. Prova a non interromperli più, dagli il tempo di finire la frase. Non sai quante volte mi sono dovuta mordere la lingua. Noi persone adulte andiamo di fretta, tra l’altro anche quando non ci sarebbe bisogno, siamo impazienti. Fai questo sforzo e adattati al ritmo dei tuoi bimbi. È una forma di rispetto che molte persone adulte non dimostrano nemmeno nel confronto ad altri adulti. Per ottenere il posto da capa team qualche anno fa ero stata esaminata per vedere se ero una persona idonea al ruolo. La critica che mi era stata mossa era appunto la mia tendenza a interrompere a causa della mia mente esplosiva ed entusiasta. Andare di pari passo con i tempi di mio figlio mi sta aiutando a calmarmi e ad ascoltare più attivamente anche i miei colleghi. Il rispetto, dunque, è la prima caratteristica su cui concentrarsi per educare alla parità. Qual è l’altra caratteristica su cui lavorare? Seguimi! Empatia Con l’empatia puoi fare un passo oltre nel percorso della tua famiglia verso un mondo più giusto. Che cos’è l’empatia L’empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri. Empatia è trasformare un “mi provoca” rivolto a tuo figlio duenne che ti da sui nervi con un “poverino in questo momento non ce la può proprio fare, devo aiutarlo a stare meglio”. Empatia è la base per molte altre qualità come: pazienza gentilezza compassione Essere empatici non è sempre facile e non ci viene bene per esempio quando sentiamo il (pre)giudizio affiorare. Ti faccio un esempio. I miei pensieri erano intrisi di giudizio, non riuscivo proprio a mettermi nei panni della mia interlocutrice. Probabilmente erano anche alimentati da tutta una serie di stereotipi che avevo sulla maternità. Del tipo: l’amore di una mamma per un figlio è così potente da vincere su un mese di notti insonni e ragadi. Che poi, l’amore non c’entra proprio nulla con il modo di allattare un figlio. Ora ne sono consapevole. Specifico che non avevo figli e che anzi ne desideravo uno con tutta me stessa. Infatti in quel periodo facevo molta fatica ad empatizzare con chi in generale mi raccontava delle difficoltà della genitorialità. Mi è capitato che me ne parlassero il giorno in cui ho ricevuto l’ennesimo risultato di gravidanza negativo e anziché empatizzare ho pianto per la mia situazione. Minimizzando così i problemi altrui a causa della mia esperienza personale. Avrei senz’altro potuto empatizzare con questa persona se avessi cercato attivamente di capire la situazione. Ponendo una semplice domanda: “Come ti senti?”. Davvero. Quando senti il giudizio affiorare la cosa migliore che puoi fare è porre una domanda per capire meglio. Sospendere il giudizio Le persone sono come degli iceberg, di cui vedi solo una minima parte. Non conosci del tutto i suoi valori, le sue emozioni, il modo in cui è stata cresciuta, eventuali difficoltà che sta passando, ... Mi viene in mente un aneddoto preso da un libro di S. Covey [4] Te lo avrei potuto riassumere, ma trovo che merita di essere raccontato per intero. Traduco liberamente dall’inglese: Ricordo un mini cambio di prospettiva che ho esperito una domenica mattina su una metro a New York. Le persone erano sedute tranquille - alcune leggevano il giornale, alcune erano perse nei propri pensieri, altre riposavano con gli occhi chiusi. Era una scena calma, quieta. Improvvisamente, un uomo con i suoi bambini entra nel vagone della metro. I bimbi urlavano e facevano così tanto casino che in un istante il clima è cambiato. L’uomo si sedette di fianco a me e chiuse gli occhi, apparentemente noncurante della situazione. I bimbi urlavano, tiravano delle cose, addirittura afferravano i giornali delle persone. Era davvero fastidioso. E, ciononostante, l’uomo seduto di fianco a me non faceva nulla. Era difficile non sentirsi irritati. Non potevo credere che potesse essere così insensibile da lasciare i suoi bambini correre liberi in quel modo, non prendendosi alcuna responsabilità. Era facile vedere che anche le altre persone erano irritate. Così, alla fine, con una pazienza e moderazione a me inusuali, mi girai verso l’uomo e dissi “Signore, i suoi bambini stanno disturbando un sacco di persone. Mi chiedevo se potesse tenerli un po’ più a bada?” L’uomo sollevò lo sguardo come se stesse prendendo coscienza della situazione per la prima volta e disse a bassa voce: “Oh, ha ragione. Immagino che dovrei fare qualcosa. Siamo appena usciti dall’ospedale in cui la loro madre è morta circa un’ora fa. Non so cosa pensare, e immagino che anche loro non sappiano come gestire la situazione”. Puoi immaginare come mi sono sentito in quel momento? La mia prospettiva cambiò. Improvvisamente vedevo le cose differentemente, e siccome le vedevo in maniera diversa, pensavo diversamente, mi sentivo diverso, mi comportavo in maniera diversa. La mia irritazione sparì. Non mi dovevo preoccupare di controllare la mia attitudine e il mio comportamento, il mio cuore era pieno del dolore di quell’uomo. Sentimenti di simpatia e compassione mi pervadevano. “Sua moglie è appena morta? Oh, come mi dispiace. Mi vuole raccontare di più? Posso fare qualcosa per aiutarla?”. Tutto cambiò in un istante. UAO. Le persone sono come degli iceberg. Ricordalo sempre. 3 pratiche per sviluppare l’empatia Ora ti do 3 esercizi efficaci che puoi praticare in famiglia già a partire da oggi. Fare un sacco di ipotesi Ti racconto una situazione che spesso capita da noi: mio figlio vede delle cartacce a terra e dice “che maleducati”. Penso l’abbia preso da una storia di una scimmia definita maleducata perché buttava cartacce a terra. Cosa c’è di male, mi dirai? Ha ragione! Beh, anche se può aver ragione al 90%, mio figlio in quel momento sta dando un giudizio senza aver nemmeno visto una persona. Tra l’altro così si abitua anche a dare la colpa “ad altri che non si vedono” e a non prendersi le proprie responsabilità. Allora di solito io faccio un sacco di ipotesi: Magari è caduta dalla tasca Magari la cartaccia è volata via per sbaglio Magari la persona non è consapevole del male che una cartaccia buttata a terra può fare Magari l’ha punta un ape e dallo spavento ha mollato tutto ed è corsa a casa a medicarsi … A volte lui aggiunge delle ipotesi e così alleniamo la creatività e a dare il beneficio del dubbio. Funziona bene anche con i libri con tante immagini e poco o niente testo, ne parlavo per esempio nella recensione dei libri delle stagioni. Vivo meglio non continuando a pensare male del prossimo. Indovinare le emozioni Un altro gioco che qualche volta facciamo è quello di indovinare le emozioni altrui. Si può fare sia osservando i libri, che nella vita reale. Osserviamo le altre persone è cerchiamo di indovinare le loro emozioni: quella bambina mi sembra euforica quel bambino mi sembra intimorito quella persona mi sembra tranquilla Non so te, ma personalmente mi sento abbastanza “analfabeta” in fatto di emozioni. Se ci penso me ne vengono in mente di più, ma nell’uso quotidiano faccio fatica a nominarne più di 10. Per questo qualche tempo fa ho stampato la ruota delle emozioni e l’ho appesa sul frigo. La trovi facilmente googlando. Per me è utile averla sott'occhio ed osservarla ogni tanto, anche insieme al mio bimbo, quando dobbiamo cercare di capire cosa stiamo provando. Quando tua figlia aggredisce un bimbo, concentrati sulla vittima Concentrarci sulla vittima non ci viene naturale. Solitamente in una situazione simile lasciamo perdere il bimbo aggredito e andiamo a sgridare nostra figlia. Col rischio di mancarle di rispetto facendola vergognare o sentire in colpa per quello che ha fatto. Se invece subito dopo il misfatto ti inginocchi verso la vittima e le chiedi come sta e se puoi aiutarla: farai subito stare meglio il bimbo aggredito sarai un modello di empatia eviterai di mancare di rispetto a tua figlia dicendo parole che non si merita Le darai il beneficio del dubbio, evitando di giudicarla ingiustamente. Picchiare è sbagliato in ogni caso, ma magari in quel momento aveva perlomeno un buon motivo per perdere le staffe. Potrai parlare con la tua bimba di rispetto per i corpi e empatia più tardi, in un momento di calma. Magari nella sua testa di bambina picchiare in quel momento era davvero l’unica cosa che riusciva a fare. Ciò non significa che devi giustificare un comportamento del genere, ma almeno capisci il suo punto di vista e la prossima volta potrai aiutarla a non ripetere un gesto simile. Come? Visualizzando soluzioni alternative all’aggressione. O evitando di lasciarla sola con altri bimbi quando è stanca o affamata. E se sei il genitore del bimbo aggredito evita fulminate giudicanti verso il genitore della bimba che ha aggredito. Sarebbe un giudizio e probabilmente anche ingiusto. Magari la persona che stai giudicando con i tuoi sguardi è un genitore molto rispettoso e consapevole, che da mesi sta cercando come fare per evitare che la sua bimba in date situazioni picchi. Spirito critico Lo spirito critico è indispensabile per una persona che abbia a cuore la parità di diritti e opportunità di tutte le persone del mondo. Che cos’è lo spirito critico Lo spirito critico è quell’attitudine a credere a qualcosa solo dopo averne verificato la validità. A non prendere per oro colato tutto quello che ci vien detto. A pensare con la propria testa. Sono sempre stata una persona con uno spirito critico. Non mi piace fare o dire qualcosa se non lo capisco. Credo che uno spirito critico dia più fastidio in una donna che in un uomo. Perché la donna “bella e gentile” resta al suo posto, mentre una dotata di spirito critico no. Lo spirito critico è qualcosa che va di pari passo con la curiosità. Tra l’altro la curiosità viene in alcuni contesti additata come negativa. In realtà è una qualità meravigliosa che dovremo coltivare nei nostri bambini. 4 pratiche per sviluppare uno spirito critico 4 pratiche per aiutare i tuoi bambini a mantenere viva la curiosità e la voglia di esplorare e capire il mondo. Accogli tutte le sue domande Aspetta, aspetta! Non sono impazzita, non sto dicendo che devi assecondare ogni sua richiesta. Te lo immagini? “Papi, posso mangiare 10 lecca-lecca?” “Ma certo caro, fai pure” No, non questo tipo di domande. Intendo le domande per capire come funziona il mondo, come quelle che si fa Ada la scienziata in questo bel libro. “Dov’è il sole adesso?” Ma anche quelle più pratiche come: “Perché devo mettere la giacca?” “Tutti abbiamo il sangue?” Mio figlio ha tre anni e fa tipo 100 domande del genere al giorno. Può essere davvero estenuante, lo capisco. Trovo che però sia di estrema importanza dare il messaggio che farsi domande sia una cosa fantastica. Invece che rispondere “Perché sì” “Perché lo dico io” “Perché si fa così” Se sei alla fine delle tue risorse mentali, prova a dire: “Mmmm… bella domanda. Non lo so” “Domanda davvero interessante, al momento mi sento poco paziente, ti rispondo quando starò meglio”. Se invece stai bene e riesci a rispondere con la logica o il tuo sapere e un filo di entusiasmo sarebbe perfetto! Infine, potresti provare ad aiutare il bambino a trovare la risposta da solo. Spesso come genitori ci vediamo come coloro che devono rispondere alle domande dei figli. Aiutarli a rispondersi da soli va un passo oltre e ricalca questa frase di Montessori che adoro: Aiutami a fare da solo Dosa molto bene i “no” che dici a tua figlia Come genitori, credo che la tendenza generale sia quella di abusare di “no” e “non”. Davvero. Un concetto che mi ha aiutato molto e che ho preso dal corso Educare a lungo termine di Carlotta Cerri è quello di “No fuoco”. Prima di dire “no” o di imporre una cosa a mio figlio mi chiedo: “È un “no” fuoco?”. Ovvero un “no” davvero necessario per evitare un pericolo come il mettere la mano su qualcosa di bollente? Ci sono anche i “no rispetto”, che riservo per l’incolumità altrui e delle cose. Tipo non rompere oggetti o picchiare altre persone, ecco. Però se vuole uscire nudo sotto la pioggia lo assecondo. Se vuole entrare in una mega pozza ma non abbiamo le scarpe adatte, gli levo le scarpe e lo lascio fare. Se tua figlia volesse un paio di scarpe dell’incredibile hulk. Se tuo figlio vuole uscire di casa con le unghie pitturate di rosa. Dare ai bimbi la possibilità di autodeterminarsi e di scegliere cosa è meglio per sé è qualcosa di prezioso per coltivare uno spirito critico. Ne parlo anche in questo articolo sulla libertà nel gioco dei bambini. Un bambino abituato a pensare con la sua testa magari un giorno sarà quello che si alza a difendere il compagno bullizzato. Una bambina abituata a pensare con la sua testa ed ascoltarsi sarà in grado di ribellarsi a chi le dirà di non dire niente di quello che è successo. Chiedi regolarmente la sua opinione I bambini capiscono molto più di quello che ci aspettiamo, davvero. Spesso abbiamo la tendenza a trattare i bambini come delle persone ingenue che non sanno nulla della vita. Con questo pensiero, anche solo a livello inconscio, spesso ci mettiamo in cattedra. Non pensiamo a chiedere la loro opinione. A chiedere a tuo figlio: “cosa ne pensi?” Anche dopo una domanda delle 100 al giorno che ti fa: prova a dire “Tu cosa pensi?”. Non sempre avrà voglia di pensarci ma magari qualche volta ti va bene e ti risparmi una risposta. Accogli l’errore Spesso i genitori hanno la tendenza a voler sottolineare o addirittura punire l’errore. Anche la scuola lo fa: con il pennarello rosso si marca l’errore e l’errore toglie punti. Dovremmo trovare un modo per smussare questa logica. L’errore, se non mette in pericolo, è utile. Dov’è finito il famoso “sbagliando si impara”? Magari tu non sgridi tuo figlio che sbaglia, ma comunque con il tuo corpo comunichi qualcos’altro: ti irrigidisci, cambi tono, dici “ohhh nooo!”. Prova ad essere il più accogliente possibile verso l’errore. Perché se un bimbo teme l’errore smetterà di esplorare e lo spirito critico si smorzerà un po’ alla volta. Se vuoi saperne di più C’è un articolo che contiene molti consigli pratici per educare alla parità di genere, suddivisi in 4 aree principali: linguaggio quotidianità giochi e media per l’infanzia emozioni è un articolo che si focalizza sulla parità di genere ma che comunque getta le basi contro altri tipi di discriminazioni. Tra l’altro, si basa sulle riflessioni che ho fatto per prepararmi ad un episodio del podcast “Educare con calma” di Carlotta Cerri. Riflessioni finali Abbiamo visto che per educare persone per un mondo più paritario, dobbiamo essere ed insegnare ad essere persone dotate di: rispetto empatia spirito critico Non è facile, ma con la consapevolezza riusciremo un passo alla volta ad avvicinarci un po’ di più a queste qualità. Ho cercato di darti degli esercizi pratici per coltivare queste qualità in te e nei tuoi bimbi. Sono curiosa di vedere quale di questi ti riesce più difficile mettere in pratica. Ah, e se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] La schwa, “ə”, è una lettera che si pronuncia tra una “a” e una “e” e che si può usare per evitare il maschile sovraesteso e per uscire dal binarismo di genere. Seppure venga usata già anche in alcuni libri, la uso con parsimonia dove davvero ci sta o non riesco a parafrasare. Essendo ancora sconosciuta a molte persone mi sembra di mettere un ostacolo in più tra chi legge e il contenuto del mio articolo. Tra l’altro il mio cervello poco fa ha fatto quasi in automatico un giro di parole, volevo scrivere “tra il lettore e il contenuto” ma in un microsecondo ho girato la frase usando “chi legge” per evitare il maschile sovraesteso e la schwa. ⇧ [2] Nel dizionario di La Repubblica. ⇧ [3] Badiamo alle parole che utilizziamo. L’isteria è una malattia mentale, una forma di nevrosi che si manifesta con varie reazioni psicomotorie, sensoriali e vegetative, oggi meglio definita come disturbo da conversione. Ritenuta in passato esclusivamente femminile, in realtà è ugualmente diffusa nei due sessi. Fonte: dizionario Zanichelli. ⇧ [4] Seven habits of highly effective people ovvero le sette abitudini delle persone altamente efficaci, tradotto malamente in “Le 7 regole del successo”. ⇧

  • Carico mentale: ti senti un genitore stanco, impaziente e inadeguato?

    Condivido con te 8 + 5 strategie che mi rendono una mamma lavoratrice serena e senza sensi di colpa. Se qualche volta ti senti un genitore inadeguato o sbagliato. Se sbotti con i bimbi e poi ti senti in colpa più spesso di quello che vorresti. Se sei un genitore sopraffatto e se ti senti in balia degli eventi. Se come genitore ti senti regolarmente impaziente, irritabile. Se sei in una coppia eterosessuale e ti senti così, dati statistici alla mano, è molto probabile che tu sia una donna. Questo articolo potrebbe aiutarti a far luce su un problema a cui forse non hai ancora dato un nome. Il carico mentale nella vita di un genitore è spesso un macigno che pesa il doppio proprio a causa della sua invisibilità. In questo articolo condivido con te 8 + 5 strategie che mi rendono una mamma serena e senza sensi di colpa. Seguimi! Cosa trovi in questo articolo: Che cos’è il carico mentale familiare? Il carico mentale familiare ricade ancora soprattutto sulle donne Il fatto che il carico mentale familiare ricada sulle donne è culturale Comincia a ridurre il carico mentale partendo da te I miei 8 consigli per ridurre il carico mentale partendo da te I miei 5 consigli per parlare di carico mentale in coppia Riflessioni finali Che cos’è il carico mentale familiare? Il carico mentale familiare è il peso della responsabilità di gestire casa e famiglia. Quindi la gestione di tutto ciò che serve a una famiglia per vivere, al netto del lavoro retribuito. Di cosa sto parlando? Da un lato, parlo di tutte le cose da fare come: lavoro domestico pulire cucinare fare la spesa fare il bucato pagare le bollette … lavoro di cura dei figli passare del tempo con loro seguirli nei loro compiti portarli a scuola educarli vestirli … Senza dimenticare la cura di parenti bisognosi o animali domestici. I compiti di questa lista prendono tempo ma sono più semplici da gestire. Dall’altro lato sto però parlando soprattutto delle cose a cui pensare: lavoro domestico pensare a cosa cucinare ricordarsi di pagare le bollette prenotare l'appuntamento in garage e farlo incastrare con tutti gli altri appuntamenti pensare a comprare i prodotti per pulire casa pensare a far vaccinare il gatto … lavoro di cura dei figli riorganizzarsi quando improvvisamente si ammalano ricordarsi delle riunioni e dei mercatini della scuola pensare ad un regalo per la festa di compleanno informarsi riguardo all’educazione dei figli ricordarsi di prendere gli appuntamenti dal o dalla pediatra … Tutto quello che è elencato in questa seconda lista è praticamente invisibile perché non è lavoro pratico. Sono compiti che spesso stanno nella mente come: organizzare anticipare ricordare pensare … Vedi come il carico mentale è doppiamente frustrante? Il carico mentale è pesante ma non lo si vede. E ciò che non vedi è difficile da riconoscere, sia che lo hai fatto tu o qualcun altro. Il carico mentale familiare ricade ancora soprattutto sulle donne Il carico mentale spesso ricade ancora solo su uno dei due genitori: la donna. Se parliamo di coppie eterosessuali, che statisticamente sono le più numerose. In questo rapporto Istat del 2019 ho trovato questi cinque punti interessanti: Quindi, anche se le donne decidono di lavorare dopo la maternità, in genere si fanno più carico del lavoro familiare rispetto agli uomini. La ragione principale è la difficoltà che abbiamo ancora oggi di uscire dai ruoli di genere. Il fatto che il carico mentale familiare ricade sulle donne è culturale Sfatiamo un mito. La credenza per cui una donna sia naturalmente portata per il lavoro domestico e di cura è falsa. Forse è stata la naturale conseguenza di certe condizioni quadro. Tanti anni fa, quando non c’erano i contraccettivi e il latte artificiale, le donne erano le principali figure ad occuparsi di casa e figli. Ovviamente. Ti sfido ad andare a lavorare quando sei incinta e/o allattante e hai 7 figli. Condizioni quadro che tra l’altro hanno contribuito a diffondere un altro stereotipo: il mito della donna multitasking. Una credenza che vede la donna come naturalmente predisposta alla gestione di mille cose contemporaneamente. I tempi sono cambiati, facciamo molti meno figli e se necessario ci sono le pompe per estrarre il latte e il latte artificiale. Volendo, una mamma può tornare al lavoro dopo la maternità. Rimane però lo stereotipo di genere intrinseco nella società per cui il posto più ovvio per una donna è la casa. Cosa ci dice questo aneddoto? Che il nostro cervello fatica ancora a vedere una mamma fuori dal suo contesto “naturale”. Analogamente, come raccontavo in questo articolo sul nostro modello familiare: mio marito è considerato fuori posto quando in orari d’ufficio si prende cura del nostro bimbo. Più di una volta gli è capitata una cosa molto strana: una persona vede mio figlio e spaventata si guarda intorno alla ricerca della mamma, credendolo perso. Capisci? Mio marito è lì nei paraggi ma queste persone non lo vedono. Non considerano nemmeno la possibilità che un papà si possa prendere cura del proprio bambino in settimana. È come se il nostro cervello non si fosse aggiornato. Veniamo cresciuti con l’idea che la cura sia faccenda da donne. Lo conferma anche questo rapporto Istat del 2019: “[…] i comportamenti dei ragazzi si differenziano nettamente da quelli delle ragazze con circa un quarto d’ora in più al giorno di lavoro domestico per le ragazze e ben 19 punti percentuali in più tra le quote di partecipanti alle attività.” Ripeto nel caso te lo fossi perso: molte più ragazze che ragazzi aiutano in casa e lo fanno per 15 minuti in più al giorno rispetto ai coetanei maschi. Ehi, ma forse quindi la mia sensazione di essere quella che aiutava più in casa da ragazza non era poi così sbagliata? Magari era un caso, ma ho seri dubbi che invece questo potesse essere lo standard. Questi sono ruoli di genere che vengono tramandati di generazione in generazione. Devi fare attenzione anche se a casa tua la situazione è più paritaria. Perché la realtà che circonda i bimbi differenzia ancora molto per genere. Come società non lasciamo i nostri figli davvero liberi di giocare con ciò che vogliono. Ci sono segnali ovunque ad indicare che ci sono cose da maschio e cose da femmina e gli stereotipi di genere si formano già nell'infanzia. Negozi, librerie, cartoni animati e libri: sono pieni di riferimenti ai ruoli di genere. Leggiamo libri dell’infanzia che spesso sono carichi di stereotipi e pregiudizi. Pensa ai libri che leggi alle tue bimbe. Quanti considerano il papà nelle loro storie? E in quanti il papà ha un ruolo di cura dei figli o della casa? Fuori a fumare la pipa. Se non è uno stereotipo di genere preso dai libri per l’infanzia questo non so… Almeno da noi dove nessuno fuma la pipa. Nei libri invece ogni tanto capita che qualcuno fumi la pipa e solitamente è un uomo. Fare caso a queste cose è il primo passo. Perché educarsi alla parità di genere è l’unica cosa da fare se si vuole educare alla parità di genere. Comincia a ridurre il carico mentale partendo da te Ammettiamo che tu voglia dare un esempio di genitore sano, che non si sacrifica per tutto e tutti. Ammettiamo che vuoi diventare un genitore più sereno e paziente, capace di prendersi i suoi spazi. Ora ti racconto cosa ha funzionato per me. Negli anni sono aumentate le mie responsabilità sia famigliari che lavorative e la mia giornata è rimasta di 24 ore. Ovviamente il mio tempo libero si è ridotto. Ma sono generalmente serena. Mi sento un essere umano felice e lo devo al lavoro che ho fatto su di me. Un genitore stanco e sopraffatto, che spesso perde la pazienza con figli e partner perché ha troppo sulle sue spalle spesso pensa di non poterci fare nulla. Magari proprio tu ti senti impotente perché non hai la forza o il potere di cambiare chi ti sta a fianco e non ti sostiene quanto vorresti. Ecco, in questi casi il mio consiglio è quello di cominciare da te, perché su quello invece hai potere. I miei 8 consigli per ridurre il carico mentale partendo da te Si tratta delle migliori strategie di gestione del tempo e crescita personale che applico da anni. Sono tecniche che possono aiutare davvero genitori sopraffatti a stare meglio. 1. Smetti di tenere le cose a mente Già solo questa pratica da sola ha ridotto di molto il mio carico mentale. Parto subito con un ricordo che risale al 2014: Studiando poi gestione del tempo e produttività mi sono resa conto di due cose: Il fatto che lui dimenticasse le informazioni che mi passava era dovuto all’effetto Zeigarnik. Si tratta di quell’effetto psicologico per cui si ricordano meglio le attività incomplete rispetto a quelle completate. Dicendomi “Ricordami che stasera devo preparare i vestiti di pilates per domani” il suo cervello considerava quel caso chiuso e la sua mente restava libera. Essere l’agenda vivente del mio partner non era nulla di cui andare fiera. Una delle prime cose da fare per alleggerire la mente è trascrivere tutte le pendenze, idealmente in un unico posto. In questo modo anche il tuo cervello le considererà come completate fino al momento che una lista o un dispositivo te le ricorderà. Avendo capito questa cosa ho gentilmente invitato il mio compagno a non usarmi come sua segretaria. Ho poi imparato da mio marito il vantaggio di usare Siri per mettere i promemoria sul telefono. E anche nostro figlio treenne ha cominciato a chiederci di mettergli delle cose nel promemoria 😉 Io uso: promemoria sul telefono calendario digitale agenda cartacea, organizzata più o meno come un bullet journal È uguale come ti organizzi, l’importante è che non hai troppi posti diversi in cui segnarti le cose. Il tuo cervello deve essere certo che le informazioni registrate potranno tornare da te al momento giusto in maniera affidabile. 2. Chiarisci i tuoi valori La seconda cosa necessaria per ridurre il tuo carico mentale è essere in chiaro sui tuoi valori. Zaira, dai! Anche tu con ‘sti valori… Ho bisogno di consigli pratici! Lo sai che questo consiglio anni fa mi sembrava proprio lasciare il tempo che trova? Invece no, fidati! Ti aiuterà davvero a definire le giuste priorità senza sensi di colpa, altro passo fondamentale che mi aiuta ogni giorno a ridurre il mio carico mentale. Agire secondo i miei valori mi aiuta ad essere una persona in pace con sé stessa. Un esempio forte è questo: mi sento raramente in colpa e quando mi sento in colpa so che è perché sto agendo in maniera non allineata ai miei valori. Quando per lavoro lascio la famiglia a casa per qualche giorno mi sento in colpa? Nemmeno un po’. Comincerei a sentirmi in colpa se fossi via più spesso di quello che mi sento di fare. Questo perché sia un lavoro in cui realizzarmi che la famiglia sono tra i miei valori fondamentali. Se vivo tenendo in equilibrio il mio impegno sulla famiglia e sul lavoro sto bene. Avere in chiaro i tuoi valori è come avere un faro che ti guida nella tua vita. Davvero liberatorio. Un metodo che uso per scoprire i miei valori è: Prendi una lista dei valori personali che trovi facilmente in internet, solitamente contengono 40-100 valori. Scorri la lista velocemente e elimina quelli che non risuonano con te. Diciamo che se non è un sì convinto lo cancelli. Te ne rimarranno ben più di 5. Elimina altri valori scartando i concetti più simili tipo scegliendo un solo valore tra “onestà”, “sincerità”, "trasparenza". Riduci ulteriormente il numero dei valori basandoti su ragionamenti tipo: “sarò serena se faccio della salute fisica e mentale un mio valore”. Quindi elimini il valore della serenità perché quello lo raggiungerai mettendo la salute al centro. Lo vedi il ragionamento? Di questi valori evidenziati, scegline poi 5. I valori non sono fissi per tutta la vita, ogni tanto ricordati di rivedere la lista e vedere se è aggiornata. 3. Metti le giuste priorità Che in altro parole significa: In caso di difficoltà o dubbio potrai pensare ai tuoi valori e dirti cose come: “Sono sull’orlo di un esaurimento a causa dei mille risvegli delle bimbe. Vado a dormire presto o guardo quella favolosa serie su Netflix?” oppure: “Che stress, al mattino ho poco tempo per prepararmi. Preferisco spendere del tempo a lisciarmi i capelli o usare quel tempo per fare una colazione in tutta tranquillità?” Infine: “Non ce la faccio più. Preferisco diminuire il mio benessere mentale insistendo perché mio figlio metta una maglia pulita o lasciare andare il giudizio altrui per avere un figlio che sembra uscito da un porcile?” Il regalo più grande che mi ha fatto la maternità sul piano dello sviluppo personale è quello di liberarmi dalla zavorra del perfezionismo. 4. Impara a dire di no Questa è stata molto dura da apprendere, anni fa ero una persona che si sentiva in colpa per tutto. Non osavo dire di no, mai. Nemmeno quando una persona sconosciuta mi chiedeva di darle il numero di telefono. Non vorremmo crescere le nostre figlie con questi esempi davvero poco saggi? Diamo loro l’esempio di una persona sicura di sé, che conosce le sue priorità e i suoi limiti e dice di no per non cadere in sopraffazione. Penso a qualche esempio dal mio passato recente come richieste di entrare in politica o in un comitato di una cooperativa. Sono cose persino in linea con alcuni dei miei valori, ma in conflitto con altri fondamentali come la salute mentale. Se mi carico di troppi impegni scoppio, non ce la faccio più. Riconosco i miei limiti in questa fase della mia vita. Una cosa che mi dico prima di accettare impegni è: “Se non è 100% sì, allora è no” Anche al lavoro faccio così, ti racconto un breve aneddoto. Impara a dire di no anche alle cose che non ti riguardano come: il regalo di compleanno il cognato ricordare gli appuntamenti di qualcun altro ricordare al partner di chiamare i propri genitori quanto e cosa mangia tuo figlio di quello che ha nel piatto (se è sano e non ha patologie particolari, ovvio) … Io per esempio dico di no a fare lavatrici se non ne ho bisogno così quando mio marito è a corto di mutande va semplicemente a farsi un bucato. Oppure a stirare le camicie: all’inizio se le stirava lui, poi ha trovato dei modelli molto belli che escono dalla lavatrice come stirati. Et voilà! Com’è che si dice? La necessità aguzza l’ingegno. 5. Semplifica la tua vita Se riesci ad applicare ciò che ti ho scritto fin qui, la tua vita è sicuramente più semplice di quello che era prima. Conosci i tuoi valori e sai prioritizzare. Ma ci sono altre cose che puoi fare per semplificare la tua vita. Quali? Beh, anche qui dipende da te e dai tuoi valori. Questo che ti elenco non è applicabile da tutte le persone perché dipende dai valori personali. Vedili come spunti di riflessione. Non mi trucco Non è stata una scelta premeditata: sono entrata in ospedale per partorire con i trucchi. Poi ho avuto un bambino ad alto bisogno che non riuscivo a lasciare giù nemmeno per due minuti e se ci riuscivo quei due minuti mi servivano per vestirmi, far pipì o mangiare. All’inizio non mi piacevo struccata, come spesso accade è una questione di abitudine. Dopo un po’ però mi sono abituata al mio viso in versione naturale e non ho sentito l’esigenza di riprendere a truccarmi. Mi fa sentire così bene poter uscire di casa in 10 minuti, dopo essermi lavata e vestita. Se penso che una volta usavo anche 20-30 minuti per piastrarmi capelli già lisci… Mi trucco forse una decina di volte l’anno e la cosa strana è che ora mi piaccio meno se truccata. Ahhhh il potere delle abitudini! Personalmente sto anche lavorando per trovare un taglio di capelli a bassa manutenzione (non sono ancora pronta ad avere un taglio corto corto anche se mi piacerebbe per la praticità). Voglio anche abituarmi all'idea di non tingere i capelli, anche se non sono ancora particolarmente entusiasta del numero di capelli bianchi in continuo aumento 😁 Infine, sto ragionando sul da farsi con i miei peli. È ovvio che mi depilo per l’idea che altri mi hanno inculcato riguardo ai peli su un corpo femminile. E un po’ mi rode, perché mi fa perdere tempo prezioso. Non guardo più la TV Anche questa non è stata una scelta premeditata: mi sono partite le doglie la sera sul divano mentre guardavo la TV. All’inizio ne abbiamo fatto a meno perché la sera andavo a dormire alle 20 per sopravvivere alle notti tormentate. Ci siamo abituati a stare senza TV. Sapendo anche che sarebbe stato più difficile impedire al nostro bimbo di guardare troppa TV con una TV in casa, abbiamo deciso di darla via. Così l’opzione TV non c’è di default e la sera sul divano tendo a fare attività che mi fanno stare meglio. Stile di vita minimalista Cosa vuol dire? Detto molto semplicemente vogliamo possedere solo il giusto necessario. Cose che servono o che ci piacciono davvero e ci fanno stare bene. Abbiamo ridotto di molto gli oggetti in casa nostra, il numero di scarpe e di vestiti. Questo processo mi ha anche sensibilizzato molto sugli acquisti e compro davvero pochissimo. Come ci semplifica la vita questa cosa? Beh, già solo pulire casa è molto più semplice con meno oggetti in giro. Non acquistare oggetti superflui mi fa stare bene perché è in linea con il mio voler impattare il meno possibile sull’ambiente. Oltretutto non spendo tempo a: gironzolare per negozi lavorare per poter permettermi quegli oggetti mantenerli eliminarli quando non funzionano o non mi piacciono più Armocromia Questo è un sottocapitolo del minimalismo. Quando ero incinta ho fatto un’analisi di armocromia. Armo che? L’armocromia è una scienza che studia l’armonia tra i colori. Ne hai già sentito parlare? Applicata ai vestiti, accessori e trucchi si tratta in sostanza di trovare la palette che si addice di più ai tuoi colori (occhi, capelli, incarnato). Conoscere questa cosa mi aiuta principalmente in due modi: visto che nella mia palette non c’è il nero o il bianco, mi riduce di molto la scelta quando faccio acquisti. Quindi ci mette meno e ho meno sovraccarico mentale dato dalle centinaia di scelte. Nel mio armadio ci sono sempre più vestiti che mi stanno bene e che stanno bene tra loro. Se compri in palette non ti devi più preoccupare dell’abbinamento dei colori. Il nostro cervello fatica a prendere decisioni e io cerco di ridurre al minimo le decisioni poco utili che devo prendere ogni giorno. Mi tengo la forza di volontà per le scelte che contano davvero. Applica un’educazione consapevole e rispettosa Sì, lo metto qui perché lo penso davvero. Se non avessi gli strumenti per educare in maniera rispettosa e consapevole la mia vita sarebbe molto più complicata. Perché vedo il circolo vizioso in cui cadono i genitori a furia di ricatti e punizioni. Perché i frutti saranno sempre più succosi man mano che i figli crescono. In internet troverai svariati libri sull’argomento, se vuoi sapere quelli che ho letto io scrivimi! Un corso online che ti posso consigliare perché l’ho fatto di persona è Educare a lungo termine di Carlotta Cerri. Hai altri metodi? Ti prego di farmeli sapere, sono sempre aperta a nuovi modi per semplificarmi la vita 😅 6. Batch processing È un termine che viene dall’informatica traducibile in “elaborazione in lotti”. Questo concetto viene riutilizzato nell’ambito della gestione del tempo. In sostanza consiste nel raggruppare le attività simili tra loro per essere più efficienti. Ti faccio alcuni esempi: Cucinare per più di un pasto alla volta Pagare tutte le bollette una volta al mese Fare una spesa grande alla settimana anziché diverse piccoline Leggere le email una sola volta al giorno anziché ogni volta che ne arriva una … 7. Impara a delegare Quando chiedi a qualcuno di fare qualcosa per te: consideralo fatto. Non controllare come e se questa cosa è stata fatta. Prima di intervenire chiediti: cosa può succedere nel peggiore dei casi se questa cosa non viene fatta entro la data ideale? Se capiterà un imprevisto perché la persona a cui hai delegato ha dimenticato qualcosa: non fa nulla, fa parte del processo di apprendimento. Si chiama responsabilizzazione. Ad esempio: chiedi al partner di fare la valigia della bimba e arrivate a destinazione con la metà delle cose necessarie. Chiediti: saremo in mezzo ad un deserto? Se la risposta è no nel peggiore dei casi andrete a comprare ciò che è stato dimenticato e la prossima volta la valigia verrà fatta con più cura. 8. Prenditi del tempo per te Quando siamo sovraccarichi di lavoro (retribuito e non) non siamo al massimo della nostra performance. Se vuoi essere una persona efficiente e rispettosa devi ricaricare le tue energie, fisiche e mentali. Un genitore spesso perde la pazienza perché è sopraffatto, non perché è cattivo. Questo vale anche per te. Per prevenire impazienza, nervosismo e sfuriate devi ricaricarti prendendoti del tempo per te. Chiaro, alla nascita dei figli questo tempo si riduce di molto ma cerca di mantenere il minimo sindacale, ok? È davvero impossibile trovare del tempo per te? Hai voglia di scrivermi perché? Sapendo che statisticamente gli uomini si prendono un’ora in più al giorno delle donne, potresti considerare di tenere traccia del vostro tempo libero, ne parlo in questo articolo. Così oltretutto potrai prenderti questo tempo libero senza sentirti in colpa verso l’altra componente della coppia. Fai giusto attenzione che ci sono attività che ricaricano più di altre. A volte scrollare le home infinite dei social può sembrare rilassante ma nel lungo periodo non è quello che ti farà stare meglio. Se riesci ad applicare queste linee guida, secondo me sarai già sulla buona strada per levarti una buona dose di carico mentale partendo da te. Avrai imparato a conoscerti meglio, ad ascoltarti e riconoscere i tuoi limiti Se hai la sensazione che questo non basta, allora sicuramente ne devi parlare in coppia. I miei 5 consigli per parlare di carico mentale in coppia 1. Parlane in un momento di calma Davvero. Sembra scontato ma non uscire con accuse in momenti di tensione. Ce la puoi fare? Magari un fine settimana riuscite a lasciare la bimba con qualcuno anche solo per un’ora? 2. Descrivi la situazione in maniera specifica partendo dalle tue sensazioni Ti faccio alcuni esempi: Sono frustrata ogni volta che esci a volare con il kite perché ho la sensazione di avere bisogno anche io di tempo per me Ultimamente sono molto più impaziente di come vorrei con i bimbi. Non riesco a stare dietro a questi ritmi. Quando rientro dal lavoro mi piacerebbe passare del tempo con i bimbi e non dover pensare alla cena o a fare il bucato. In questo periodo sono davvero esausta. Mi aiuterebbe un sacco se un paio di mattine potessi portare tu la bimba al nido. Le frasi sono formulate in prima persona singolare, sono specifiche e non contengono avverbi tipo mai o sempre. 3. Discutete dei valori e delle priorità della famiglia Magari potete cominciare facendo l’esercizio dei valori insieme, pensando alla vostra famiglia. Preparatevi a scendere a compromessi. Però dicamo che se avete deciso di avere una famiglia assieme uno si aspetterebbe che un buon numero di valori li abbiate in comune 😅 Sulla base di questi, vi sarà magari più semplice discutere le priorità: È più importante avere 14 pasti diversi tutte le settimane o possiamo accettare che alcuni pasti si ripetano per poter cucinare in lotti? È più importante guardare quella partita o dare la possibilità al genitore che ne ha più bisogno di fare una passeggiata? Davvero dobbiamo stare tutto il weekend tutti assieme o possiamo usare un giorno per dare qualche ora di svago ciascuno? 4. Cosa potete eliminare, delegare o condividere Discutete cosa siete disposti ad eliminare o ridurre. Davvero è escluso che chi dei due lavora al 100% possa considerare un 80%? Un 90%? Anche solo per un periodo? Che spese possiamo ridurre per poterci permettere questa riduzione? Lo so che quello che ti scrivo può sembrare detto dall’alto del privilegio. E da un parte lo siamo, privilegiati. Però un po’ della nostra fortuna siamo anche andata a prendercela. Come? Pensando fuori dagli schemi prestabiliti. Ti racconto un attimo la nostra situazione nei momenti più bui... Ma torniamo a noi. Cos’altro potete eliminare o ridurre? Potete evitare di andare ogni domenica a pranzo dai genitori e farlo solo una volta al mese? Solo se la cosa vi pesa e avete la sensazione che vi rubi del tempo prezioso, eh! Davvero i bimbi devono fare 2 attività sportive, non ne basta una? Se per esempio il doverli scorrazzare qua e là diventa un impegno insostenibile. Quali responsabilità possono essere condivise o ripartite? La lista della spesa? I risvegli notturni? La cura dei bimbi quando si ammalano? 5. Datevi l'obiettivo di avere più o meno la stessa quantità di tempo libero Il lavoro familiare vale tanto quanto quello retribuito. Anche se non è retribuito, genera enorme valore. Ne parla molto bene questo rapporto Istat del 2019. L’effetto psicologico che ha l’avere un lavoro non retribuito è grande: sembra che quello che fai non valga niente o che valga meno di quello retribuito. Quante volte sei sfinita ma comunque ti ritrovi a cucinare manicaretti perché “Eh ma lui poverino lavora già tutto il giorno”? Quante volte al weekend tendi a lasciarlo sul divano perché “Eh ma lui ha lavorato tutta la settimana”? È questa mentalità che deruba le donne ogni giorno di un’ora. Se la situazione a casa è tesa, se siete stanchi, nervosi e sopraffatti, magari potreste trovare utile questo metodo per gestire il tempo libero della coppia. Sembra esagerato ma ti assicuro che nel nostro caso registrare il nostro tempo libero è stato liberatorio. E poi registrare il tuo tempo libero non sarà un grande impegno, visto che è poco 😉 Riflessioni finali Dati statistici alla mano, le donne hanno più carico mentale e meno tempo libero. La cosa è più evidente per le mamme con figli piccoli e correla con il numero di figli. Queste 8+5 strategie mi aiutano ad essere una mamma serena e realizzata. Una cosa che ci ha aiutato enormemente a vivere in linea con i nostri valori è stata la riduzione della percentuale lavorativa di mio marito. Ci ha fatto così bene che ancora mi meraviglio a vedere quante poche famiglie si organizzino in questo modo. Quindi sono partita da me, ma poi l'evoluzione ha toccato tutte le componenti della famiglia. Proteggendoti dal carico mentale, dai ai tuoi bambini un esempio di qualcuno che mette dei confini per proteggersi. Dai un esempio di persona capace di dire di no e che non si sacrifica per tutto e tutti. A volte pensiamo che il nostro sacrificio sia una prova d'amore ma non è così. Per due motivi: Ah, e se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima,

  • Perché “maschio” e “femmina” sono etichette a cui dovremmo dare meno peso

    Ti do 9 strategie pratiche da considerare per crescere i tuoi bambini un po’ più lontani dagli stereotipi di genere Pensa alla tua infanzia. Quali sono le etichette che ti si sono appiccicate addosso e che magari ancora oggi ti porti dietro? Le mie, così su due piedi, sono: brava intelligente stonata maschiaccio acida Ne ho dimenticata una. La più importante. femmina Questa mi è stata appiccicata ancor prima di nascere. “Ma non è un’etichetta”, mi dirai. È un dato di fatto. Sì e no. Te ne parlo meglio dopo l’indice, seguimi! Cosa trovi in questo articolo: Cosa si intende con etichette quando riferite ad una persona? Perché sarebbe meglio non etichettare? 4 risorse per approfondire il tema delle etichette nell’infanzia In che senso “maschio” e “femmina” sono delle etichette? Cosa implica essere etichettati come maschio o femmina? 9 modi per smussare le etichette di genere nell’infanzia Riflessioni finali Cosa si intende con etichette quando riferite ad una persona? Siamo molto bravi ad etichettare. È un meccanismo di risparmio energetico del nostro cervello. Serve a non dover ricominciare da capo a valutare la situazione ogni volta che si incontra qualcuno. Sono etichette tutte quelle parole, solitamente aggettivi, che riferiamo ad una persona. Possono essere dei pregiudizi, arrivare da luoghi comuni o da esperienze passate. “Mio figlio è diligente” “Mia figlia è brava ad arrampicare” “Sono una persona permalosa” A proposito di etichette mi viene in mente un aneddoto successo a mio marito. Quella persona, sulla base di stereotipi e magari anche la sua esperienza aveva fatto un’ipotesi su mio marito completamente sbagliata. Magari non aveva mai visto un papà con suo figlio durante il giorno e in settimana. Magari non conosceva papà impiegati a tempo parziale. Ha ipotizzato che solo una persona disoccupata ha il tempo per sdraiarsi per terra. Il suo cervello ha fatto tutti questi ragionamenti in una frazione di secondo, per valutare in maniera veloce quello che stava vedendo. Ha fatto 1 + 1 e … ha sbagliato in pieno. Perché sarebbe meglio non etichettare? Etichettando riduci le possibilità di una persona di essere se stessa e di cambiare. È come se imponessi il carattere, i talenti e i difetti di una persona. A volte anche l’aspetto. Mettiamo caso che hai le caratteristiche di una persona pigra e io ti etichetto come tale. Vedo principalmente due possibilità. Oggettivamente: 1. Non sei una persona pigra In questo caso, esprimo un giudizio falso sul tuo conto e il mio rapporto con te sarà falsato da questo mio pensiero. Magari il tuo sembrare una persona pigra è dovuto ad altri motivi. Etichettandoti come persona pigra è come se il mio cervello tutto soddisfatto smettesse di lavorare. Non fa altre ipotesi, non cerca di capire perché tu in questo momento mi sembri una persona pigra. Questo succede anche solo se lo pensassi. Se te lo dicessi invece contribuirei a farti credere che sei una persona pigra. Potresti cominciare a comportarti per soddisfare questa aspettativa. Inizieresti a non metterti più in questione e la pigrizia diventerebbe uno scudo da usare in molte occasioni. Cominceresti a credere che quella, oramai, è la tua natura. Ho parlato di questo meccanismo anche nell’articolo sul sul multitasking. 2. Sei una persona pigra… …in questo momento della tua vita. Niente, non ce la faccio proprio a scriverlo in maniera assoluta, nemmeno come ipotesi. Comunque mettiamo caso, per intenderci, che da molto tempo a questa parte sei una persona che adora stare sdraiata nel letto a pensare guardare la TV prendere l’ascensore anche per fare un piano di scale Lo fai per scelta, non perché hai una particolare disabilità che ti impedisce di essere una persona più attiva. Prima di tutto: una persona non è mai un’etichetta, nemmeno cinque etichette. “dire sei una persona davvero pigra!” è comunque falso. Perché anche se la pigrizia è una tua caratteristica, magari sei anche una persona molto rilassata perché non corri tutto il giorno tra mille impegni. Questo ti rende una persona molto affabile e comprensiva che si arrabbia di rado. Quindi dirti “sei una persona pigra” non ti renderebbe giustizia in ogni caso. E poi, chi mi dice che un giorno non cambierai? In questo caso il problema principale è quello di ridurre la possibilità che tu possa cambiare. Perché magari da molto tempo sei una persona oggettivamente pigra. Per questo motivo potrei non invitarti mai per una passeggiata. Quando sarò in tua compagnia chiamerò l’ascensore quasi in automatico. E ti sarà ancora più difficile uscire da questa etichetta. Tutto questo discorso vale anche per le etichette positive, come “intelligente”. Mette un peso addosso, una responsabilità che magari non vorresti sempre avere. Potresti soffrire di più e scoraggiarti appena fai un errore. Potresti diventare una persona perfezionista, che non esce volentieri dalla sua zona di comfort per paura di sbagliare. 4 risorse per approfondire il tema delle etichette nell’infanzia Se il tema delle etichette ti interessa ti consiglio di cominciare da queste risorse: Il racconto di Valeria da Pozzo intitolato “Siria e la luna” L’episodio del podcast Educare con Calma “Etichette: smettiamo di mettere le persone in scatola!” La risposta di Carlotta Cerri alla domanda di una mamma con una bimba molto timida L’episodio del podcast di mammasuperhero “Smettiamo di etichettare i bambini” In che senso “maschio” e “femmina” sono delle etichette? Quando si parla degli svantaggi di etichettare i propri figli, spesso si fanno esempi come: timido pigra diligente che sono etichette che hanno a che fare con il comportamento. A volte si citano anche le etichette che hanno a che fare con l’aspetto: bello magra nero [1] In questi contesti di solito non si parla di “maschio” e “femmina” come di due etichette. Invece le etichette “maschio” e “femmina” sono potenti e insidiose. Perché insidiose? Perché sono invisibili. Perché ci nasciamo. Ci sembrano ovvie e naturali e non pensiamo a quanto influenzano la nostra vita. Ma non sono etichette! È un dato di fatto. Se mia figlia nasce con la vulva, è una femmina, almeno dal punto di vista biologico. Giusto. Però oggi la società ha aspettative e trattamenti diversi per uomini e donne. Quindi essere bollati come “maschi” o “femmine” ha delle implicazioni. Cosa implica essere etichettati come maschio o femmina? A chi nasce viene assegnato un sesso biologico. Sulla base di questo iniziano tutta una serie di automatismi: assegnamo un nome maschile/femminile ci riferiamo loro con pronomi diversi e correggiamo chi sbaglia associamo colori maschili/femminili per tutto: cartolina di benvenuto all’ospedale, vestiti, ciucci, biberon, peluches, triciclo, bicicletta, zaino, … li vestiamo in maniera diversa, non solo per i colori facciamo crescere i capelli o meno regaliamo loro cose diverse usiamo aggettivi diversi per descrivere i bambini e le bambine ci aspettiamo comportamenti diversi ci aspettiamo interessi diversi diamo la paghetta prima e più alta ai bambini [2] … Ognuna di queste pratiche rafforzano la linea di demarcazione tra il genere maschile e quello femminile. Ora. Concentriamoci un attimo sugli aggettivi, che sono proprio quelle parole che usiamo quando etichettiamo. Pensa all’aggettivo “muscoloso” che viene spesso rivolto ai bambini. Nota quanto suona strana l’espressione “sei muscolosa” riferita ad una bimba. È segno che ci troviamo di fronte ad un'espressione fortemente stereotipata per cui dovremmo evitarla. O cominciare ad associarla in egual misura anche alle bimbe. Etichette come: muscoloso femminuccia forte coraggioso terremoto bravo nel lavoro pratico amante delle macchine da costruzione dipendono dalla macro-etichetta “maschio”. Analogamente, dalla macro-etichetta “femmina” dipenderanno etichette come: gentile dolce diligente brava frivola isterica [3] maschiaccio 9 modi per smussare le etichette di genere nell’infanzia Voglio darti qualche idea per evitare di rafforzare questa linea di demarcazione tra il mondo maschile e quello femminile. I primi 5 sono consigli inediti e gli altri 4 sono ripresi dall’articolo 20 consigli pratici per educare alla parità di genere. Prendili come spunti di riflessione, non come prescrizioni. Devi fare ciò che ti senti e che è in linea con i suoi valori, solo così potrai fare dei cambiamenti nel lungo termine. Hai notato il titoletto qui sopra? Ho scritto “smussare” non “evitare”. Non ho le fette di tofu sugli occhi e mi rendo conto che non è possibile rimuovere completamente le etichette di genere. Nella nostra cultura e con la nostra lingua è ancora più difficile staccarsi da questo binarismo di genere. Ma sicuramente c’è qualcosa che puoi fare già da oggi. 1. Dai un nome “neutro” al tuo bimbo o alla tua bimba Un nome che non renda chiaro da subito se il bimbo che ti trovi di fronte è maschio o femmina. Questo se potessi tornare indietro lo farei con il mio bambino. Non costa molto e almeno le persone che incontrerete si approcceranno al bimbo o alla bimba in maniera meno stereotipata. O magari si approccerà anche in maniera stereotipata ma una volta come se fosse femmina e l’altra come se fosse maschio. Così il bimbo o la bimba sperimenterà le due facce della medaglia. A meno che ti chiedano esplicitamente il sesso, in quel caso passa al prossimo consiglio! 2. Non rivelare il sesso assegnato alla nascita del bambino o della bambina a meno che sia strettamente necessario. Questo è più facile se non è una persona che te lo chiede direttamente. Magari un formulario per il quale si può trovare una soluzione creativa tipo scrivere a chi ne è responsabile che nella vostra famiglia preferite non dare troppo peso al sesso assegnato alla nascita. Generalmente non vogliamo essere persone scontrose con chi incontriamo al parco e ci chiede “È maschio o femmina?”. In passato ho sempre risposto. Ora se qualcuno lo facesse penso che proverei a rispondere con “Si chiama Fiore”. Così se dal nome è chiaro il sesso, siamo tutti a posto. In maniera pacata avrai messo l’accento sulla persona e non sul sesso. Se dal nome non si capisce e la persona insiste, si potrebbe dire: “È una persona” “Sono curiosa. Perché lo vuoi sapere?” “È nato con il pene/la vulva” “È un maschio, ma non diamo peso al sesso assegnato nella nostra famiglia” Confesso: non so se avrei fegato di rispondere così io stessa. 3. Non dire al tuo bimbo che è un maschio o alla tua bimba che è una femmina Aspetta! Non è omertà! Semplicemente non gli ricordo quest'etichetta. Se me lo chiede gli rispondo: "Sei una persona nata con un pene" e se vuole saperne di più aggiungo "visto che hai un pene, il tuo sesso biologico è "maschio". Quello che conta però è quello che pensi tu." 4. Se qualcuno scambia il tuo bimbo per una bimba e viceversa potresti: Non correggere Questo punto è sicuramente discutibile. Io ho smesso di correggere quando il mio bimbo viene preso per una bimba. Al momento preferisco dare il segnale a mio figlio che con lui si può usare qualsiasi tipo di pronome, che comunque spesso è in linea con il sesso assegnatogli alla nascita. Io stessa uso "lui". Quando sarà il momento e la sua identità di genere sarà formata sarà lui a correggere qualcuno che lo misgenderi [4], se la cosa gli importa. Così facendo le persone si approcciano a lui a volte come se fosse una femmina, a volte come se fosse un maschio. Correggere usando formulazioni tipo “Lei è Giulia” invece di “È una femmina”, soprattutto se sei davanti ad altri bambini. In questo modo rendi chiaro alla persona che pronomi usare ma metti l’accento sulla persona, evidenziando il nome anziché il sesso assegnato alla nascita. 5. Se il tuo bimbo o la tua bimba misgendera un altro bambino Non vuoi correre il rischio di offendere qualcuno. Suggerisci di chiedere il nome del bimbo che sta misgenderando. 6. Evita il più possibile le parole: maschio femmina bambino bambina femminuccia maschiaccio uomo donna signore signora Eviterai automaticamente frasi tipo: ✖ Il calcio è uno sport da maschi ✖ Le bambine non〈attività o comportamento X〉 ✖ I maschi non〈attività o comportamento X〉 ✖ Sei un maschiaccio / femminuccia 7. Usa la parola “persona” anziché “uomo”, “donna” , “signore” o “signora” ✖ Guarda, un uomo che sta guidando una ruspa ✔ Guarda, una persona che sta guidando una ruspa 8. Giochi di ruolo: lasciali fare se tuo figlio vuole allattare una bambola se tua figlia dice che quel duplo con il rossetto e i capelli lunghi è un signore se tuo figlio vuole impersonare una bambina. D’altronde se lo lasci essere un gatto non puoi impedirgli di essere una persona di un genere diverso dal suo, giusto? 9. Libri e cartoni animati: non è facile ma sforzati di trovarne di non stereotipati e che parlino di temi come identità e espressione di genere Cerca tra quelli che recensisco nelle mie risorse per l’infanzia. È una lista in lento ma costante aggiornamento. E iscriviti alla mia newsletter per aggiornarti sui libri per l’infanzia stampabili che ho in cantiere: Riflessioni finali Non sto dicendo di fare finta che bambine e bambini siano uguali. Non sto nascondendo la biologia a mio figlio. Sa che ci sono persone con il pene e altre con la vulva. Ma al di là delle nostre fattezze biologiche, siamo tutte persone una diversa dall’altra e dovremmo imparare a convivere con queste differenze. Per il mio bimbo desidero un mondo in cui abbia il 100% delle possibilità tra cui scegliere. E tu? Ah, e se hai letto fin qui e l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto. Te ne sono grata. Ciao e alla prossima, [1] Cito dal libro “Scrivi e lascia vivere. Manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile”: L’espressione di colore è un calco dall’anglo-americano coloured che inizia a diffondersi in Italia negli anni ‘70 ma si radica negli anni ‘90, quando abbiamo iniziato a considerarla più come un eufemismo di nero. Nel 2022 questo non è più valido, e la stessa comunità delle persone afrodiscendenti italiane rivendica l’uso dell’aggettivo nero. ⇧ [2] Ci sono diversi studi, a me è sembrato ben fatto per esempio questo di Credite Suisse del 2017 dove sono state interrogate 7200 famiglie con bambini tra i 5 e i 14 anni. ⇧ [3] Badiamo alle parole che utilizziamo. L’isteria è una malattia mentale, una forma di nevrosi che si manifesta con varie reazioni psicomotorie, sensoriali e vegetative, oggi meglio definita come disturbo da conversione. Ritenuta in passato esclusivamente femminile, in realtà è ugualmente diffusa nei due sessi. Fonte: dizionario Zanichelli. ⇧ [4] Viene dall’inglese. Lo uso perché mi permette di dire con una sola parola quello che dovrei dire con molte più parole in italiano “riferirsi ad una persona con dei pronomi non in linea con la sua identità di genere”. In realtà questo è possibile solo con bimbi più grandi, che hanno già sviluppato la loro identità di genere. Un bebè tecnicamente non è misgenderabile, si può giusto confonderne il sesso biologico. ⇧

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